Si contendono l’eredità di una donna e finiscono in tribunale, ma il testamento è sgrammaticato: “Non è valido”
In un foglio, che riporta la data 17 marzo 2017, una anziana di 88 anni ha dichiarato suo erede universale il figlio della donna che l'aveva assistita per qualche mese. Dopo la sua morte, avvenuta il 7 aprile 2018, l'uomo si è presentato con quello scritto da un notaio per riscuotere il lascito cospicuo: oltre a denaro e titoli bancari, c'erano diversi appartamenti tra i quali uno in via della Moscova.
E proprio per quella casa, come riportato dal quotidiano Il Corriere della Sera, si è finiti in tribunale. L'abitazione infatti era al centro di un altro testamento che la donna aveva scritto nel 2016. All'epoca era stata lasciata in eredità alla Casa della Carità, alla quale l'88enne faceva diverse donazioni in memoria dell'unica figlia morta molto giovane.
Entrambi i testamenti quindi, come scritto precedentemente, sono finiti in tribunale.
Il testamento del 2017
"Lascio tutto a lui… per averti preso cura di me delle mie cose": si legge nel testamento del 2017 che proclamava erede il figlio della colf. Un testo del tutto diverso da quelli scritti precedentemente dove invece l'appartamento veniva lasciato alla Onlus.
Al termine del processo, la Corte d'Appello ha deciso di lasciare l'appartamento all'associazione e il resto dell'eredità alla nipote. Questo perché per i giudici, il fatto che l'88enne abbia redatto un testo completamente diverso rispetto agli altri è da considerarsi di "forte rilievo non solo per l’incoerenza con le precedenti disposizioni, ma soprattutto perché il ripensamento avviene a fronte di una motivazione in precedenza espressa e il cui superamento appare incomprensibile".
Inoltre per i giudici di secondo grado, il Tribunale ha "correttamente valorizzato il fatto che una persona colta avesse redatto un testamento illogico e ricco di errori grammaticali, che non sapesse più distinguere un testamento da una procura, che abbia scelto un foglio diverso rispetto a quelli usati in precedenza, nonché la distanza della firma dal testo, la stringatezza del medesimo, la totale assenza di punteggiatura e l’assenza di un preambolo".
La decisione della Corte d'Appello
Al termine del processo, i giudici della Corte d'Appello sono arrivati alla conclusione che le volontà della donna sarebbero state elaborate in una condizione di "incapacità naturale".
Per i giudici infatti la donna ha scritto l'ultimo testamento in una condizione di "grave perturbazione delle facoltà di comprendere il significato e gli effetti dei propri atti".