Sfruttata in uno studio di architettura di Milano a 800 euro al mese: “Costretta a tornare nella mia città”
Vivere a Milano è diventato sempre più complicato. L'affitto di una stanza o un appartamento potrebbe pesare gravemente sullo stipendio di un lavoratore soprattutto se questo è pari o di poco inferiore al proprio reddito. Per questo motivo molte persone sono state costrette a scappare dal capoluogo meneghino e, in alcuni casi, a tornare nelle proprie città. Non sempre la responsabilità è di coloro che speculano sui contratti di locazione. In moltissimi casi ci si trova di fronte a datori di lavoro che sfruttano i propri dipendenti offrendo condizioni lavorative pietose. Sara (nome di fantasia) ha raccontato a Fanpage.it quanto è stato costretta a subire.
"Dopo aver ricevuto varie offerte di lavoro in cui mi offrivano al massimo una retribuzione di 1.200 euro con partita iva, ho iniziato a lavorare in uno studio di architettura a Milano come interior designer. I primi due mesi, ho ricevuto uno stipendio sotto i mille euro. Quando questo è aumentato, ho iniziato a registrare i primi ritardi nei pagamenti o addirittura la mancata retribuzione. Inoltre, nonostante avessi un contratto a partita Iva, sono stata costretta a recarmi tutti i giorni in studio e seguire un orario come se avessi un contratto da dipendente. Non avevo alcuna libertà professionale", ha spiegato.
"Quando ho chiesto spiegazioni sui ritardi e i mancati pagamenti, mi è stato risposto che non c'era liquidità per sovvenzionarmi. Mi è stato quindi presentato un foglio in cui mi veniva detto che da quel momento avrei ricevuto uno stipendio di 650 euro. Con questa cifra non si copre nemmeno un part-time, figuriamoci un full-time. È stato vergognoso: anche perché stavo aspettando lo stipendio dal mese precedente che non era ancora arrivato. Per questo motivo, a inizio 2024 ho deciso di chiudere la collaborazione", ha precisato.
Prima di arrivare a questa scelta, Sara ha provato più volte a far valere i propri diritti. Per esempio relativamente ai propri turni di lavoro e agli straordinari: "Quando ho fatto notare che, essendo a partita iva, non sarei dovuto andare in studio ogni giorno, mi hanno risposto che non gli interessava. Anche quando ho provato ad amministrare il mio tempo, le cose non sono variate. Un giorno ho lavorato 12 ore. In quello successivo ho fatto notare questa cosa e ho dimostrato di aver lavorato più di otto ore. Nonostante questo, mi è stato detto che non era un loro problema. Questa condizione non mi permetteva di avere altre collaborazioni con altri studi".
Il suo non è mai stato un caso isolato: "Altri miei colleghi, non erano stati pagati. Tutti avevano una partita Iva e, come me, erano costretti ad andare lì. Io poi ho agito per tempo e mi è stato pagato tutto quello che mi spettava".
Lo studio per il quale collaborava è rinomato e ha diversi clienti che investono in hotel, appartamenti o costruzione di quartieri nuovi: "Hanno un ampio margine di guadagno, che però non investono all'interno della società. Continuano ad aprire posizioni e assumere persone. Sono stati assunti anche soggetti che non erano iscritti all'Ordine degli Architetti, ma che esercitavano comunque la professione. Nonostante siano state inviate segnalazioni agli Organi competenti e siano state perpetrate cause con avvocati, le condizioni sono sempre le stesse. A loro favore, gioca molto il fatto che vengano assunte soprattutto persone straniere".
Non è l'unica esperienza negativa in questo settore. In gran parte delle realtà che operano in questo ambiente e a Milano sussistono condizioni di sfruttamento e sacrificanti: "Anche l'esperienza precedente è stata molto simile. Era la prima esperienza lavorativa a Milano. Quando ho iniziato, mi hanno proposto uno stage di sei mesi. Mi avrebbero pagata 750 euro al mese. I contributi li versavo io quindi a fine mese la retribuzione era leggermente inferiore. Dopo questo periodo, avremmo valutato il mio futuro all'interno di questa realtà. Durante i sei mesi, sono stata vittima di un comportamento ostico soprattutto perché lesbica e originaria del Sud. Per queste cose, mi dicevano che "non ero in linea con quello che cercavano", mi chiedevano di cambiare lavoro e fare altro. Non mi hanno però mai mandata via. Sostenevano che i miei elaborati fossero di basso livello, però poi li usavano per venderli ai clienti".
"Alla fine dei sei mesi, mi hanno detto che non erano ancora pronti per assumermi e che mi avrebbero offerti altri sei mesi. Mi è crollato il mondo addosso anche perché vivere a Milano senza lavoro è impossibile. Ho accettato, ma ho iniziato anche a interfacciarmi con altre realtà. Anche in questo luogo eri costretta a lavorare dalle 9 alle 8 di sera tutti i giorni. E in caso di assunzione ti offrivano al massimo 1.200 euro a partita iva, che al netto erano 1.000-1.100 euro. E quando per un giorno non lavori, ti tolgono una parte di retribuzione che si aggira attorno ai 50-60 euro al giorno. Sono andata a lavorare con l'influenza e con la febbre, ma a loro non interessava".
E dopo l'ennesima esperienza lavorativa, Sara ha scelto di andare via da Milano: "In tutte le mie esperienze ho guadagnato in media 800 euro e pagavo un affitto di 450 euro e solo perché convivevo. Sono tornata nella mia città di origine. Sono stata costretta a farlo perché vivere a Milano con quello stipendio che ti offrono è imbarazzante".