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“Se torni a lavoro, ti faremo morire”: costretta a licenziarsi dopo il secondo figlio

Chiara (nome di fantasia) ha raccontato di essere stata, quattro anni fa, vittima di mobbing nella sua azienda quando è rimasta incinta della seconda figlia: “Se torni a lavorare, ti faremo morire”, le hanno detto.
A cura di Ilaria Quattrone
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Immagine di repertorio
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"Ho ripreso a vivere la mia vita, personale e lavorativa, ma ogni tanto il pensiero ritorna a quel periodo e a quei fatti e qualche volta sogno di trovarmi ancora in quella situazione e mi sveglio di soprassalto": a raccontarlo in un'intervista al quotidiano Il Corriere della Sera è Chiara (nome di fantesia, ndr), una donna di 38 anni che quattro anni fa ha denunciato di essere vittima di mobbing per costringerla a dimettersi e rinunciare ai benefici di legge per la sua seconda maternità.

"Il vero problema è che questi episodi si ripetono praticamente in tutti gli ambienti di lavoro", ha affermato. All'epoca dei fatti ha ricevuto addirittura minacce: "Se torni al lavoro ti faremo morire". La donna ha poi deciso di andare via e ha trovato una nuova occupazione: "Su consiglio dell'avvocato e considerando i costi che quella vicenda stava imponendo alla mia famiglia, ho deciso di arrendermi".

Ha scelto di dimettersi prima che la figlia compisse un anno: "Ma sulla base di un accordo che prevedeva non soltanto una buonuscita ma anche, e soprattutto, il riconoscimento da parte del datore di lavoro di avermi procurato un danno biologico".

Ha sottolineato come quel periodo le sia costato tanto anche in termini di salute psicologica: "Ho sofferto tantissimo e a un certo punto non ce la facevo più e ho fatto un bilancio, ho considerato il prezzo che stavo pagando: andavo al lavoro per quattro ore, facendo al massimo fotocopie e con addosso sguardi ostili" e poi tornata a casa "non uscivo più, non vedevo nessuno, rispondevo male al mio compagno, a mia mamma, anche il primo figlio cominciava a mostrare di risentire quelle tensioni".

A convincerla a scegliere la nuova azienda, è stata soprattutto il fatto che sarebbe subentrata per una sostituzione-maternità "e anche il colloquio con il titolare, che mi ha confidato di essere papà di tre bimbi. Ho pensato che in quell'azienda avere figli non fosse considerata una colpa".

Purtroppo ha assistito a un altro episodio brutto: "Una collega con quattro figli era scivolata in una crisi depressiva a causa di una serie di tensioni familiari. Stava vivendo una situazione pesante ma il capo ha letteralmente cambiato faccia, ho visto le stesse dinamiche che avevo subito io, l’ha fatta chiamare per rimproverarle una cosa persino mentre si trovava in degenza. Volevano indurla ad andarsene".

Chiara ha così scelto di andare via un'altra volta. Ha trovato un nuovo impiego in un'altra azienda: "Ho descritto le mie esigenze familiari. Mi hanno mostrato comprensione e sembravano persino contenti di avermi con loro. Mi sono detta “ma allora esistono posti così”. Poi, però, ho saputo che in passato una collega rimasta incinta è passata per le stesse pressioni che ho subito io. Non se ne esce".

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