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“Se non ti faccio fuori è perché c’è un bambino”: le minacce ai traditori della ‘ndrangheta a Como

Vincenzo Milazzo era tra gli ex leader del traffico di droga nel Comasco e vicinissimo al capo della Locale di ‘ndrangheta di Canzo Luigi Vona. Aveva allontanato e minacciato uno dei suoi fedelissimi quando scoprì che questo aveva rubato per uso personale della droga: “Se non ti faccio fuori è soltanto perché c’è un bambino”.
A cura di Giorgia Venturini
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"Se non ti faccio fuori è soltanto perché c'è un bambino. Trovatelo un buco dove andarti a nascondere". Questa è la minaccia di Vincenzo Milazzo, tra gli ex leader del traffico di droga nel Comasco e vicinissimo al capo della Locale di ‘ndrangheta di Canzo Luigi Vona, rivolta a chi ha tradito la sua fiducia. Ma cosa è successo poco prima? Uno dei suoi fedelissimi avrebbe fatto sparire 100 grammi di sostanze stupefacenti impedendo così all'organizzazione di trarne guadagno. Non è che uno degli episodi documentati nell'operazione della Questura di Como che ha svelato come la criminalità organizzata gestiva lo spaccio di droga nel Comasco e soprattutto nei territori di competenza delle Locali di ‘ndrangheta di Erba e Canzo. Le indagini hanno poi portato nelle settimane scorse all'arresto di 30 persone.

A gestire gran parte del traffico illegale era Vincenzo Milazzo, ora tra gli indagati dopo il bliz della Squadra Mobile. L'uomo aveva al suo servizio una rete di pusher che lui stesso chiamava "operai": l'organizzazione infatti era coordinata come se fosse  un'attività commerciale, con tanto di stipendi mensili e orari di lavoro. Come spiegano gli atti del Tribunale all'interno del sodalizio criminale erano stati identificati Giuseppe Lattuca, Giuseppe Di Franco, Lara Colantuono, Simone Liguori e Querina De Gennaro, nonché quest'ultima moglie di Milazzo. Tutti quanti ora sono sotto indagini e destinatari di misure cautelari.

Come funzionava la rete criminale di pusher nel Comasco

Ai suoi fedelissimi, a riprova dell'organizzazione gerarchica del sodalizio, Vincenzo Milazzo garantiva uno stipendio mensile. Era lui stesso a scegliersi i suoi collaboratori, tanto che uno di loro "l'ho fatto salire dalla Calabria", come si sente in una intercettazione.

Milazzo aveva poi spiegato così la sua "impresa": "Poi comunque li stipendio io, loro ogni mese hanno lo stipendio..f**a darò lo stipendio a dieci persone". E ancora: "Do da mangiare a mezza Lombardia". Il leader del gruppo lo ripeteva più volte che deteneva il controllo di diversi pusher: "Io sono – si sente in un'altra conversazione intercettata dalla polizia – quello che detiene tutto (…) Loro sono sotto di me, no vabbè lavorano come operai…loro non comprano per vendere come fanno tutti, loro prendono il mio e lo portano a tutti i miei clienti…vengono pagati per quello, quindi loro non avranno mai debiti, non avranno mai niente…se succede qualcosa l'unico che lo prende nel c**o sono io…quella è la questione".

Così tutto il gruppo riusciva a fare 200 consegna di droga a notte. Insomma guadagni e responsabilità per Milazzo che però dettava legge ai suoi fedelissimi: prima tra tutte, se fosse successo qualcosa sarebbe stato lui stesso a risponderne ma in cambio richiedeva massima fedeltà ai suoi. E chi lo avesse tradito avrebbe rischiato pericolose conseguenze.

Il caso di Giuseppe Di Franco

Come nel caso di Giuseppe Di Franco che, insieme a Giuseppa Lattuca, ricopriva "il ruolo di pusher e di collaboratore di Milazzo nell'attività di cessione dello stupefacente, oltre che a occuparsi anche della preparazioni delle dosi", come svelato dalla polizia. La droga veniva preparata in un appartamento a Valbrona, sempre in provincia di Como. A tradire la fiducia del leader è stato Di Franco.

Lo aveva spiegato lo stesso Milazzo in una conversazione intercettata in auto insieme a Giuseppe Lattuca: il primo era passato a prendere il secondo in carcere dopo che gli avevano concesso dal 16 ottobre 2020 la misura cautelare agli arresti domiciliari. Durante tutto il periodo della carcerazione era stato Milazzo a provvedere al sostentamento della famiglia di Lattuca e, una volta uscito, lo stava aggiornando su cosa ora accaduto all'interno del gruppo in sua assenza.

In auto Milazzo aveva informato l'ex galeotto di aver deciso di allontanare Giuseppe Di Franco "a causa – come riporta il Tribunale – di alcuni ammanchi di sostanze stupefacenti (100 grammi di cocaina) a lui addebitabili. (…) Di Franco ha sottratto cocaina per consumarla, sottraendola dal mezzo chilo che c'era in cassaforte". Dopo poco tempo non sono mancate le minacce del capo dell'organizzazione: il 19 settembre del 2020 Milazzo aveva mandato due messaggi vocali a Di Franco.

Ecco il contenuto: "Se non ti faccio fuori è soltanto perché c'è un bambino…ma stai attento perché non so come la penso…tutti gli angoli che ti sei smussato…tutti i grammi che mancano". "Trovatelo un buco dove andarti a nascondere…ma piccolo dove io non ti vedo…trovatelo perché adesso la stiamo aprendo sei rovinato…trovati un bel buco ok?". "Io lo faccio fuori!".

Così Giuseppe Di Franco era stato allontanato. Quest'episodio era servito a Milazzo per dimostrare la sua forza intimidatrice nei confronti dei suoi pusher: chi tradisce la sua fiducia è fuori e rischia severe minacce.

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