“Se Carol Maltesi fosse stata una suora avrei usato le stesse parole”: parla il giudice della sentenza
A un anno e mezzo dall'omicidio di Carol Maltesi, è arrivata la condanna in primo grado per il suo assassino: la Corte d’Assise di Busto Arsizio (Varese) ha stabilito in 30 anni di carcere la pena per Davide Fontana, reo confesso di aver ucciso la 26enne nel gennaio 2022 durante le riprese di un video hard casalingo.
Ma la sentenza, le cui motivazioni sono state rese note nei giorni scorsi, solleva in men che non si dica un vero e proprio polverone di polemiche: sotto accusa il mancato ergastolo, contestato inizialmente dalla Procura per le aggravanti della crudeltà, della premeditazione e dei motivi abietti, e per le parole stesse utilizzate dai giudici nel documento. Secondo i giudici Carol, "giovane e disinibita", "si era servita di Fontana meglio perseguire i propri interessi personali e professionali, e ciò ha scatenato l’azione omicida", anche per il "senso di crescente frustrazione per essere stato da lei usato e messo da parte".
Le polemiche intorno alla sentenza di Carol Maltesi
"Stereotipi di genere? Vittimizzazione secondaria? Sono allibito, è il contrario di quello che abbiamo scritto nelle motivazioni. Ora capisco come si poteva sentire un pediatra ai tempi di Erode". A parlare è Giuseppe Fazio, presidente della corte di Busto Arsizio. Che respinge al mittente ogni contestazione. "Non sarebbero state parole diverse se la ragazza avesse fatto la suora anziché l’attrice", dichiara in una lunga intervista a Corriere della Sera. E, sul mancato ergastolo per Davide Fontana: "Non è che ogni processo per un grave delitto debba finire con un ergastolo. Qui abbiano fissato la pena base nel massimo dell’omicidio semplice, 24 anni, e aggiunto il massimo della pena per lo scempio del cadavere, 7 anni più 3 di continuazione. Fanno 34 anni, ma il tetto massimo di legge è 30 anni".
Le aggravanti non riconosciute
E passa in rassegna una a una le aggravanti richieste dall'accusa, e non riconosciute in fase di verdetto. Come, ad esempio, quella relativa ai motivi futili e abietti. "Probabilmente a spingerlo ad uccidere non fu la gelosia adombrata dal pm, ma la consapevolezza di aver perso la donna amata, accompagnata dalla frustrazione per essere stato messo da parte da lei". Per essere riconosciuta, invece, "questa aggravante dovrebbe essere espressione di un moto interiore del tutto ingiustificato, mero pretesto per sfogare un impulso criminale".
Così come non è stata riconosciuta l‘aggravante della crudeltà, nonostante le tredici martellate in testa e i tentativi di sbarazzarsi del cadavere tagliandolo in pezzi e conservandolo per settimane all'interno di un frigorifero. "Per la giurisprudenza deve essere l’infliggere un male aggiuntivo e gratuito rispetto alla normalità causale del delitto, e qui per noi non c’era", la replica del presidente della Corte. "Non si può fare l’errore di desumere l’aggravante della crudeltà dal successivo raccapricciante scempio fatto sul cadavere".