Scontri a Milano: destra, ultras ma soprattutto ragazzi delle periferie, chi erano i contestatori
La "battaglia di Milano" di ieri sera non era alimentata solo dalla rabbia: in strada non c’erano commercianti disperati ma i loro figli, alcuni appena ventenni, molti spinti soltanto dall’euforia del caos. Ragazzini delle periferie, extracomunitari di seconda e terza generazione che parlano arabo, offendono in perfetto milanese e cantano slogan in francese come nelle banlieue di Parigi. Per una volta i più violenti non erano i militanti di estrema destra o gli anarchici, che comunque erano presenti e attivi nel coordinare l’azione soprattutto nella prima fase, ma chi era all’interno ha potuto assistere a scene paradossali: gli "adulti" hanno preso letteralmente a schiaffi i "giovani" fuori controllo che stavano iniziando a vandalizzare le vetrine dei negozi lungo corso Buenos Aires.
"I negozi non si toccano, siamo qui per altro", ha ordinato un gruppo all’altro. "A spaccare i vasi siete uomini, vero?!", ha poi tuonato uno dei più alti in grado nella gerarchia di piazza. Una forma di servizio d’ordine interno passava a contenere i danni delle prime file, risollevava i tendoni dei bar abbattuti, riposizionava le transenne lanciate lungo le scalinate della metropolitana e i cestini dei rifiuti rovesciati. Senza questi anticorpi interni oggi il centro di Milano sarebbe una distesa di attività danneggiate e saccheggiate, com'è successo a Torino.
Spaccatura generazionale
La spaccatura generazionale era evidente. Da un lato i professionisti della contestazione, gente che sa come vestirsi in queste situazioni (passamontagna con la retina nera a coprire anche gli occhi per non lasciare nessuno spiraglio agli investigatori che devono identificarli dai video), che sa benissimo come muoversi (compatti e decisi, non come quelli che si spostavano sui monopattini tra detriti e molotov ancora in fiamme), e ancor di più sa quando lasciare il campo. Lo dimostra il fatto che dei 28 denunciati solo una ragazza è risultata appartenente all’area antagonista, tutti gli altri sono indicati dalla questura come “non riconducibili a gruppi conosciuti”. Ed ecco l’altro lato della piazza, i turisti della contestazione, i ventenni delle periferie che lanciano pietre col volto scoperto, fanno dirette su Twitch, postano video su Instagram o si fermano davanti al fumo dei petardi per farsi immortalare da un amico in posa “flex”, con i muscoli tesi. Inesperti al punto da non saper distinguere i lacrimogeni dallo spray al peperoncino. Disorganizzati e per questo ancor più pericolosi, perché totalmente imprevedibili. In viale della Liberazione un ragazzo urla "mica siamo meno di Napoli!", incitando gli altri a una dimostrazione di forza che non è politica ma banale tifoseria vandalica.
Gli ultras sono la cerniera tra i violenti
A fare da cerniera tra questi due mondi c’erano gli ultras, non solo di Inter e Milan. In via Vittorio Veneto, quando il fronte compatto si dirige verso la Regione armato di catene e bottiglie recuperate dai bidoni dei bar della movida di Porta Venezia da trasformare in molotov, in due ululano prima di invocare il nome di Dede Belardinelli, il tifoso del Varese ucciso a Milano la notte del 26 dicembre 2018 durante l’agguato organizzato contro i supporter del Napoli. In 200 o forse di più attraversano il centro, in via Galileo Galilei spaccano i finestrini di un tram e quando raggiungono la Regione sfogano tutto ciò che hanno dentro. Anche qui è evidente la differenza nell’esperienza di strada dei presenti. Chi conosce il gioco spacca mattoni trovati in un’area cantiere per recuperare pietre da lanciare, chi è nuovo alla battaglia pensa a scavalcare inutilmente una transenna che protegge sacchi di cemento e altri oggetti da lavoro. Ci sono anche cacciaviti che saranno usati più tardi per scassinare i bauletti dei motorini trovati lungo il percorso di ritirata. Ma è l’ultimo momento in cui coesistono giovani e adulti: dopo alcuni minuti di assedio al Palazzo questi ultimi lasciano il campo. Spariscono prima che inizi la risposta della polizia che per tutta la sera ha evitato lo scontro frontale, ha mantenuto la distanza disperdendo la folla con una pioggia di lacrimogeni. Ha scelto una strategia attendista che, alla fine, ha funzionato.