Saluti romani al corteo per Sergio Ramelli a Milano, la procura fa ricorso: “Pericolo di ricostituzione del partito fascista”

Lo scorso 28 novembre il Tribunale di Milano ha assolto perché "il fatto non sussiste" 23 militanti di estrema destra, identificati tra gli oltre mille partecipanti e imputati per "manifestazione fascista", per aver risposto alla chiamata del "presente" e aver fatto saluti romani al corteo che si era tenuto, come ogni anno, il 29 aprile 2019 in memoria di Sergio Ramelli, militante del Fronte della Gioventù ucciso da un commando di Avanguardia Operaia nel 1975. Oggi, martedì 29 aprile, al cinquantesimo anniversario dalla morte, la Procura ha presentato ricorso in appello contro la sentenza.
I giudici, nell'assolvere gli imputati, avevano spiegato che la "chiamata del presente" e il "saluto romano", realizzati "in concreto" da "circa 1000" giovani, erano ben lontani dal "costituire" una "condotta potenzialmente idonea alla ricostituzione del partito fascista", ma hanno avuto "solo una specifica valenza di omaggio e di ricordo del giovane trucidato per le sue idee politiche". E se è "vero", aveva scritto il Tribunale, che la Suprema Corte "esclude che il mero richiamo a commemorazione dei defunti possa valere tout court ad escludere l'antigiuridicità della condotta", in questo caso la "commemorazione nell'anniversario della morte di un giovane barbaramente trucidato", davanti al "murale posto sul luogo dell'aggressione", sarebbe uno degli elementi che porterebbero a escludere il reato.
Perché ci sia un pericolo per le istituzioni democratiche, aveva scritto il Tribunale, devono esserci una "elaborazione di programmi, una continuità di riunioni e manifestazioni, magari reiterate più volte l'anno per svariati motivi". Per commemorare Ramelli, invece, "il gruppo di persone è solito incontrarsi solo annualmente e unicamente per salutare, con la gestualità anche in uso al gruppo politico al quale partecipava il giovane assassinato, il giovane stesso". E il saluto romano sarebbe un "richiamo" a quella "militanza politica", che ha "costituito l'abbietto motivo ed il movente del suo barbaro assassinio". Erano in mille sì, ma "finita la commemorazione", avevano fatto notare ancora i giudici, la "adunata si è sciolta".
In seguito a tali motivazioni, la Procura di Milano ha presentato ricorso in appello contro la sentenza. Quelle "circa 1200 persone" avevano "l'intento non solo di commemorare la morte del giovane Sergio Ramelli, ma anche di rievocare un rituale tipico del partito fascista" e di "esternare la propria adesione a un determinato sistema di valori". Una "condotta" che "assume preoccupante rilevanza" dato il "cospicuo numero di aderenti", "sensibilmente aumentato nel tempo", anche perché nel 2014 erano 600 e sono "raddoppiati" in pochi anni. E sussiste in questo caso, dunque, il "pericolo di ricostituzione del partito fascista", ha scritto il pm di Milano Enrico Pavone nel ricorso in appello.
La "reiterata organizzazione" di questo evento, che si ripete ogni anno, scrive la Procura diretta da Marcello Viola, preceduto anche da una "massiccia propaganda diffusa" via social, ha accresciuto la "condivisione di tale ideologia, concretizzando il pericolo che la norma incriminatrice contestata agli imputati intende prevenire". La norma, infatti, secondo il pm e anche alla luce della recente sentenza della Cassazione, sanziona le "condotte prodromiche alla ricostituzione del partito fascista" e di "‘inoculazione', anche subdola, della ideologia fascista, sia pure solo attraverso manifestazioni, gestuali o simboliche". Non c'è bisogno, in sostanza, argomenta la Procura, di "riunioni, discussioni, elaborazioni di programmi" perché si integri il reato di manifestazione fascista, come indicato invece dai giudici di primo grado, perché in quel caso anzi ci si troverebbe davanti direttamente alla "effettiva ricostituzione del partito fascista".