“Sala di sinistra? Non saprei, lui dice così”: parla Borghini, sindaco socialista di Milano
È stato sindaco di Milano, dal gennaio 1992 al marzo del 1993, in piena epoca Mani Pulite. Giampiero Borghini, racconta a Fanpage.it la sua visione della città, affrontando tutti i temi e non nascondendo il suo pensiero o il suo giudizio.
Come è cambiata Milano dall'epoca della sua sindacatura a oggi?
Milano, oggi, è una città molto diversa, anche in conseguenza della vicenda Tangentopoli, perché credo che quegli anni siano stati uno dei momenti più importanti della vita della città. Milano ha dimostrato, in quel periodo, che aveva un profondo attaccamento alla propria identità, alla propria storia, soffrendo molto Tangentopoli, ma dimostrando anche una grande capacità di innovazione e cambiamento. Non bisogna dimenticare che, in quei mesi, il Comune di Milano, che io presiedevo, ha fatto i più importanti acquisti di opere d'arte e investimenti, in termini di cultura, di tutta la storia del Comune.
Abbiamo acquistato la collezione Jucker, che è rimasta a Milano, anche grazie alla immensa disponibilità degli eredi, veri milanesi, in piena Mani Pulite, che si sono fidati del Comune di Milano. Abbiamo poi deciso lo spostamento della Fiera e, primi in Italia, iniziammo l'esperimento di una giunta aperta alla società civile. Ben sei importanti esponenti della società civile milanese, in piena Tangentopoli, hanno accettato di lavorare per Palazzo Marino. Faccio un solo nome: quello di Guido Artom, che oggi purtroppo non c'è più, vice presidente di Confindustria e che poi sarebbe diventato Presidente della Fiera. Con grande generosità, si mise a disposizione del Comune. C'è stata una spinta al cambiamento politico, molto importante.
Poi, è arrivato quello che sta sotto ai nostri occhi: l'avvio della trasformazione di Milano in una grande dimensione metropolitana. Lo spostamento della Fiera, deciso da noi nel 1993, è stato il segnale che Milano ha dato. Quindi la città è molto cambiata, di certo non per merito del Comune, né della politica. È cambiata perché, in questi 30 anni che ci separano da quel periodo, ha vissuto una profonda trasformazione. La sua natura economica è passata da capitale del terziario avanzato a capitale dell'economia italiana della conoscenza. Insieme a ciò, Milano è diventata un nodo da rete globale dell'economia della conoscenza. Milano ha subìto, dunque, quella che un grande storico dell'economia italiana e milanese, in particolare, Giuseppe Berta, ha definito "una metamorfosi". Diciamo che eravamo un bruco nel novembre del '93 e siamo diventati una farfalla con l'Expo e tutto ciò che ne è seguito.
Lei ha detto: “Se parliamo di Milano, la politica serve a governare la città, non a guidarla, non a spiegarle che cosa deve pensare o sentire”. Ci spiega meglio?
Questo vale non solo per Milano. Bisogna avere un grande rispetto per la politica, ma anche conoscerne i limiti. La politica, il governo, una giunta, non possono rendere ricca una città. La città viene resa ricca da chi ci lavora, da chi ci vive. La politica non rende prospera una città. Però può rovinarla. Basta prendere le decisioni sbagliate, basta ostacolare le dinamiche dell'economia cittadina. La politica non pretenda di guidare una città, si proponga di ascoltarla, quindi di trovare le soluzioni più opportune ai problemi che la città stessa propone. I problemi che oggi Milano propone sono molti, complessi e diversi da quelli del passato. Però, ci sono.
Lei è stato nel Pci, è stato sindaco socialista di Milano. Se le dovessero chiedere: "Ma Giuseppe Sala è un uomo di sinistra?", cosa risponderebbe?
Non saprei. Sicuramente Sala è un democratico, si proclama di sinistra e non c'è motivo per non credergli. Noi tutti siamo quello che pensiamo di essere, che affermiamo di essere. Lo ha ribadito: sindaco antifascista, di centrosinistra. Lo ha ripetuto più volte. Ma questo, per la questione amministrativa è importante fino a un certo punto. Quello che conta è una sensibilità amministrativa, la sua capacità di ascoltare la città e di trovare le risposte giuste ai problemi che Milano propone. Oggi i problemi sono tali da far tremare le vene nei polsi.
Quali sono i principali problemi di Milano?
Oggi è cambiato tutto. Bisogna rendersi conto che, nella fase storica che stiamo vivendo, i motori dello sviluppo non sono più le nazioni, ma le città, la grandi città, i grandi agglomerati urbani, le grandi concentrazioni di popolazione, di cultura. Le città, oggi, sono la frontiera dello sviluppo dell'umanità e sono anche l'area dove si affrontano i problemi. I problemi più gravi che abbiamo di fronte, si combattono e si vincono nelle città.
La transizione ecologica, ad esempio. E ancora, lo sviluppo, l'innovazione, la sanità, la lotta alle pandemie, la coesione sociale, l'equità sociale, sono tutte problematiche che si affrontano e si vincono nelle città, cioè laddove le persone si concentrano, collaborano, lavorano. Si è tanto parlato del lavoro a distanza, che si può fare ovunque. Non è così. Le persone che lavorano vogliono frequentarsi, vogliono essere sociali e socievoli e desiderano stare nelle città. Il tema è portare in tutta l'area metropolitana, la qualità urbana. Vale a dire i collegamenti, le connessioni, l'ordine urbanistico la bellezza, la socievolezza, il lavoro. Questo è ciò che Milano, oggi, deve fare. Per affrontare i problemi che, ormai, sono i problemi del mondo, del Paese, ma soprattutto i problemi della nostra città.
Lei ha anche detto che Milano sta vivendo una fase di riflessione e che non è una città smarrita. Ma Milano non le sembra un po' abbandonata a sé stessa?
No, non credo che sia così. Uno dei pregiudizi più diffusi su Milano è che sia una città frettolosa. Non lo è. È una città che riflette e che poi fa, rapidamente. Ma è il contrario, rispetto all'essere frettolosi. Frettoloso è chi si muove senza riflettere. Milano, secondo me, attraversa una fase di autoanalisi, di riflessione, molto legata ai problemi che ho detto prima. Una cosa che non ho mai visto in nessuna altra città italiana: i rettori delle università milanesi, nella loro prolusione, all'inaugurazione dell'anno accademico, parlano sempre della città. Questo nelle altre città d'Italia, non esiste.
Su Milano escono quotidianamente ricerche sociologiche, indagini economiche… Non stiamo a specchiarci, ma stiamo a riflettere su noi stessi. Per questo Milano è riflessiva, è attenta ai suoi problemi. Siamo cresciuti. È aumentata la popolazione, è cresciuta la produzione. Lei sa che, se si fa un rapporto popolazione/prodotto nazionale lordo, Milano è la quarta città al mondo? Dopo San Francisco, New York e Tokyo. Quindi, la nostra città ha molti segnali che indicano che le cose vanno bene. Eppure in tutte le riflessioni c'è un però: le case sono tutte care, i ragazzi non trovano l'affitto, le disuguaglianze sociali, ecc, ecc… È questo che fa grande Milano, secondo me. Una città che si autostima, ma non perde mai l'attenzione alla propria tradizione. La tradizione profonda di Milano, è la coesione, il convivere delle imprese private con le istituzioni pubbliche, il convivere dello sviluppo con il volontariato. Non a caso siamo la capitale dell'industria e del volontariato. Un motivo ci sarà.
Stadio di San Siro. Cosa ne pensa? È stato un fallimento della politica milanese, non avere affrontato la questione per tempo e seriamente?
Direi seriamente e serenamente. A questo punto, la soluzione sembra essere ristrutturarlo. Importante sarà legare questa ristrutturazione e messa in sicurezza, alla volontà di renderlo bello, agibile e funzionale per almeno altri 30 anni. Bisognerà lasciare un grande spazio verde attorno, affinché un domani si possa demolirlo e costruirne uno di ideazione avanzata, non più come è ora San Siro. Oggi, ormai, la strada mi sembra essere quella della ristrutturazione.
Non le chiedo dell'inchiesta della Procura di Milano per abuso edilizio, con 40 progetti sotto la lente delle indagini. Sarà la giustizia a stabilire eventuali colpe e individuare eventuali colpevoli. Ma lei avrebbe, in qualità di sindaco, querelato il giornalista Barbacetto per diffamazione, a difesa dei dipendenti del Comune? La decisione di Sala ha scatenato un putiferio di polemiche.
Mi pare che l'atteggiamento assunto dal Comune sia stato molto corretto e di collaborazione con la magistratura. Ha, cioè, cercato di far capire e comprendere ai magistrati che non possono perseguire solo il reato, ma dovrebbero aiutare anche gli amministratori pubblici ad affrontare le problematiche che ci sono. Io auspicherei una grande collaborazione. Siamo sicuri che la cornice giuridica sia adatta?
Sono convinto che la Città Metropolitana dovrà funzionare non come funziona il Consiglio comunale, ma come un soggetto pubblico, politico, che dialoga con la società, che tratta con essa, con il sistema degli aeroporti, con il sistema delle università, con il sistema sanitario e anche con la grande iniziativa privata, per capire di che cosa ha bisogno e che cosa si può fare insieme. Questo deve essere un terreno ben delineato, per calcare il quale abbiamo bisogno di essere sicuri che la magistratura non ci aspetti al varco, ma collabori. La politica credo che oggi dica alla magistratura: "Aiutateci prima".
Un'ultima domanda. Essere sindaco di Milano espone chi ricopre questa carica in maniera incredibile. Questo aumenta la responsabilità? E, per il dopo Sala, che qualità dovrà avere il prossimo sindaco di Milano? Che ruolo dovrà interpretare?
Lei sa che Giovanni Verga, che era siciliano, definì Milano "la città più città d'Italia". Bisogna poi dire che il sindaco di Milano è una delle 100 persone che in Italia contano di più ed è il sindaco più conosciuto. È quindi chiaro che ciò comporta una grande responsabilità, anche quando si apre bocca. Molto spesso, non si capisce che le parole pesano, soprattutto quando escono dalla bocca del sindaco di Milano.
Detto questo, ogni sindaco ha le sue caratteristiche ed è quindi difficile tracciare l'identikit di colui o colei che arriverà dopo Sala. Il compito principale del Sindaco di Milano sarà di saper capire la città, ascoltarla. Un sindaco che capisca l'umore della città, deve solo chiedere di essere aiutato. Tutti lo aiutano, nessuno si rifiuta. Deve essere capace di ascoltare, molto. E di dimostrarsi umile, questo è essenziale. Se invece pensa di guidare la città chissà verso quale futuro e quindi essere un condottiero, gli faccio tutti i miei migliori auguri, ma non credo che Milano abbia un grande futuro.