Revocata amministrazione giudiziaria ad Alviero Martini: “Speriamo che questo esito sia da modello per altri brand”
Alviero Martini spa non è più sotto amministrazione giudiziaria. Lo ha deciso il Tribunale di Milano revocando in anticipo la misura scattata lo scorso gennaio dopo che alcuni fornitori erano finiti sotto indagine per caporalato. Alla famosa azienda che produce borse e accessori era stato invece contestato il fatto di essere "incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell'ambito del ciclo produttivo".
Parla l'amministratrice giudiziaria di Alviero Martini
A gestire nei mesi successivi i rapporti con i fornitori era stata l'avvocata Ilaria Ramoni che in una intervista rilasciata a Fanpage.it aveva spiegato come si poteva sanare la situazione: ovvero "controllando tutta la linea della produzione. Quindi non solo i primi fornitori o appaltatori, ma anche tutti i sub-appaltatori. Perché in realtà le indagini hanno rivelato una sostanziale mancanza di controllo su tutta la filiera produttiva. Ovviamente, poi, più si accorcia la filiera più è facile garantire il prodotto e fare controlli. Fondamentale, poi, è anche prevedere audit on site non solo programmate ma a sorpresa per verificare le reali condizioni produttive e di lavoro". Fin da subito la società Alviero Martini spa si era resa disponibile a collaborare. E così è stato.
Ora Ilaria Ramon, e il suo collega Marco Mistò, hanno commentato così la decisone di revocare l'amministrazione giudiziaria: "Non solo la società ha risposto in modo pronto e collaborativo, ma ha anche dimostrato a tutto il comparto e a tutto il mercato che se si vuole certi controlli si possono fare e sono concretamente attuabili sul campo. Auspichiamo che questo esito positivo apra la strada alla stessa modalità operativa anche per gli altri brand sul territorio nazionale".
Come il Tribunale ha motivato la sua decisione
In una nota del presidente del Tribunale Fabio Roia si legge che è avvenuta la "risoluzione del rapporto con un fornitore rivelatosi ‘a rischio' (solo per citare alcuni dei rimedi adottati dalla società nell'ambito dell'adeguamento al piano prescrizionale) in tempi, peraltro, estremamente rapidi". In questo modo è stato possibile riscontrare un "atteggiamento positivo della Società che, dopo il primo impatto con la misura e con i suoi organi, ha saputo reagire nel modo corretto, cogliendo nella misura un'occasione di miglioramento".
Le indagini dei pm Storari e Baima Bollone e del Nucleo Ispettorato del Lavoro dei Carabinieri avevano svelato che la casa di moda aveva affidato, attraverso contratti di appalto con divieto di sub-appalto, l'intera produzione a società terze. A sua volta le aziende appaltatrici sarebbero state in grado di competere sul mercato solo esternalizzando le attività a fabbriche cinesi. Qui lavoravano uomini e donne in modo irregolare e clandestina: i lavoratori avrebbero lavorato di notte o la domenica per evitare i controlli e avrebbero dormito negli stessi locali in cui avrebbero creato gli oggetti. Nei confronti dei titolari di queste fabbriche cinesi era stato avviato un procedimento penale.
Ora tutto sembra essersi risolto. Nella nota del Tribunale si legge che la società "ha dimostrato una profonda comprensione della ratio della misura, intesa, dopo un primo momento di inevitabile impatto critico, come un'occasione per dotarsi di strumenti di cabotaggio interno, volti ad evitare la reiterazione di vicende analoghe e di riscoperta di una cultura della legalità estesa a tutta la catena produttiva".