Vittima di molestie nelle agenzie pubblicitarie: “Nessuno mi ha aiutato, ho lasciato Milano”
Negli ultimi giorni il mondo delle agenzie pubblicitarie di Milano è stato travolto dalle testimonianze di diverse professioniste che hanno raccontato di aver subito molestie, violenze fisiche e psicologiche da altri dipendenti e da noti direttori creativi. Tra loro c’è Giulia S.
Giulia è arrivata a Milano dodici anni fa. Aveva vent’anni e ha iniziato a lavorare come stagista per Massimo Guastini, noto pubblicitario. Un giorno ha deciso di partecipare a un incontro di aggiornamento e crescita professionale organizzato da un’altra agenzia di comunicazione.
Prima di questo evento, ha scambiato alcuni messaggi su Facebook con un altro noto pubblicitario che le ha comunicato che anche lui sarebbe stato presente e avrebbero potuto conoscersi e parlare: “Io ho accettato. Mi faceva piacere conoscere colleghi nell’ambito della comunicazione e imparare da altri. Frequentava l’ambiente e non c’erano motivi per dirgli no”, ha raccontato Giulia S. a Fanpage.it.
Cos’è sucesso quella sera?
Ho conosciuto questo personaggio e alla fine del convegno si era fatto tardi. Mi stavo preparando per tornare a casa con la metropolitana e poi con un autobus. Lui mi ha chiesto se avessi voluto un passaggio con l’automobile. Ho accettato: io avevo vent’anni e lui ne aveva cinquanta. Al tempo davo per scontato che chi avesse l’età per essere mio padre fosse affidabile.
Il punto non è quanto fossi ingenua, ma chi ha approfittato di questa ingenuità.
All’epoca vivevo fuori Milano. Avrebbe quindi dovuto darmi un passaggio lungo e fuori dal contesto urbano. Non mi sono resa conto di dove stesse andando. Non conoscevo nulla del territorio e mi sono fidata. A un certo punto, ha spento l’auto e si è accostato in una strada dove ricordo che c’erano solo campi, non c’era luce, non c’erano lampioni.
Presumo fosse una strada isolata: ha tentato approcci sessuali. Ho da subito manifestato il mio dissenso. Era evidente che non avessi voglia di andare oltre a una conoscenza. Lui ha continuato. Sono stata dentro quell’auto per alcune ore che sono state molto dure da gestire mentalmente.
A un certo punto ha deciso di smetterla e anche un po’ scocciato mi ha riportato a casa. Il problema è che non è finita lì. Nei giorni, nelle settimane e nei mesi successivi, ha continuato a scrivermi per convincermi delle sue buone intenzioni. Mi ha comunque specificato che se io fossi stata più gentile con lui avrei avuto una gran carriera.
Perché hai deciso di raccontare tutto al tuo capo?
A Massimo Guastini l’ho detto perché continuavo a ricevere contatti da questa persona. Avevo il terrore di trovarmelo ovunque: fuori dall’agenzia, sotto casa, in qualsiasi contesto che potevo frequentare.
Di conseguenza la paura che avevo mi ha portata all’unica cosa che sono riuscita a fare per gestire la situazione al tempo: affidare questi pensieri anche a qualcun altro e in quel momento ho ritenuto che Massimo Guastini fosse una persona con cui confidarmi, che avesse anche le competenze per dirmi che cosa stava succedendo.
Quando ne ho parlato a lui, si è subito mosso ed esposto e ha preso in mano la causa. È stato l’unico che si è interessato alla questione e lo ha reso pubblico attraverso il suo blog e i suoi social tutelando il mio anonimato.
Cos’è successo nei mesi successivi?
Dopo questi fatti sono riuscita a resistere un anno a Milano. Mi sono allontanata, ho cancellato il mio blog dove facevo comunicazione su temi di pubblicità, ho chiuso i miei social, traslocato e sono andata altrove e ho cercato di dimenticare completamente questa storia, di uscirne. Era l’unica cosa che potevo fare per tutelarmi. A parte Massimo Guastini, sono stata lasciata sola.
Tutti gli altri intorno leggevano il blog di Guastini, lo commentavano, hanno fatto gossip ma non si sono preoccupati di chi c’era dall’altra parte.
C’è stato un totale disinteresse anche da parte dalle associazioni di categoria. Sono certa che sapessero. Mi rendo conto che al tempo “fosse normale” non preoccuparsi di questo. Però sarà anche successo nel 2011, ma non deve più accadere. Nel momento in cui vengono fuori queste cose, nessuno deve più leggere e dimenticarsene.
C’è un clima di omertà all’interno delle agenzie pubblicitarie?
Sì, c’è un clima di omertà. Sono molto dispiaciuta di sapere che ci sono tante altre ragazze vittime di molestie. Io ho continuato a lavorare come libero professionista nell’ambito della pubblicità, ma credo che non sia un problema di settore.
Purtroppo è una dinamica che fonda le sue radici su contesti culturali, sociali ed educativi. Personalmente ne ho sofferto molto. Ci ho messo tanto tempo a prenderne consapevolezza. Ho fatto psicoterapia e ancora oggi non riesco a prendere passaggi in automobile da nessuno se non da quelle persone, magari miei compagni, di cui mi fido.
In altre situazioni no, guido sempre io. Questa storia me la porto dietro tuttora. All’epoca Guastini periodicamente cercava di contattarmi. Ho percepito che lui volesse che io riflettessi sull’importanza di parlare, anche per poter portare altre persone a farlo. Purtroppo però in una situazione di vulnerabilità, è praticamente impossibile esporsi.
Non è nemmeno facile farlo sapendo che, anche se si sta perseguendo una giusta causa, si verrà attaccati da chi vuole fuorviare l’attenzione verso qualcosa altro o vuole boicottare il discorso perché non vuole sentire parlare di questo.
Io non me la sono sentita fino ai giorni scorsi: non riuscivo ad affrontare la situazione, ero terrorizzata, avevo paura. Ne ho anche adesso per la mia incolumità perché non so come queste persone possano reagire.
Loro non sono soli: non ci sono solo questi nomi che sono venuti fuori, ce ne sono altri. Ci sono anche quelli che semplicemente odiano chi parla o chi cerca di cambiar qualcosa. Smuovere il terreno sotto i piedi crea sempre difficoltà, mette in campo dinamiche che non sono solo razionali.
In questi giorni alcune persone hanno chiesto alle vittime perché non hanno denunciato prima. C’è una difficoltà a comprendere che non è così semplice?
È molto semplice pensare che una situazione difficile possa concludersi andando semplicemente a denunciare. Bisognerebbe chiedersi perché non lo abbiamo fatto, perché non abbiamo avuto la possibilità di farlo.
Non sono le vittime che non hanno voluto denunciare. Non lo hanno fatto perché non è stata garantita loro protezione, informazione e sensibilizzazione.
Come possiamo pretendere che una donna che ha subito una molestia all’interno di questo ambiente, complesso e pesante e che è in una situazione di fragilità, abbia la forza di andare da sola a denunciare? Non possiamo pretendere che siano sempre le vittime a farsi forza e coraggio da sole.
Lo dirò mille volte: la me che 12 anni fa non ci ha messo la faccia doveva essere aiutata da quelle associazioni che sapevano. Tutti sapevano, ma nessuno si è preoccupato. Adesso le associazioni che sanno, prenderanno provvedimenti? Si preoccuperanno delle vittime? Andranno a dare a queste persone gli strumenti per muoversi in sicurezza, per esporsi senza avere conseguenze?
Adesso esistono spazi, come lo spazio libellula, che permettono di denunciare anonimamente questi fatti. Nel 2011 purtroppo no.
All’epoca le associazioni hanno sottovalutato il problema. Per me ha significato chiudere tutto e andare via.
Per qualcuno che ha fatto i salti mortali per essere a Milano, che ha studiato, che ha speso soldi, che ha fatto fatica per creare il suo portfolio creativo e per trovare un posto all’interno di un’agenzia, è difficile andare a denunciare sapendo che non avrebbe supporto e sostegno.
Per una vittima denunciare non è facile soprattutto se si tratta di ragazze giovani, come lo ero io, magari in ruoli meno importanti e che il giorno dopo aver sporto la denuncia sono costrette a tornare sul proprio luogo di lavoro in mezzo ad altri colleghi e in un contesto in cui magari la persona che ha denunciato ha un ruolo di importanza.
La denuncia comporta conseguenze che non sono da poco. E una vittima non può sentirsi dire che dovrà sostenerle tutte e magari da sola.
Io sono qui dopo 12 anni e ancora vengo toccata dalla storia che ho vissuto. Vivo ancora le conseguenze. Come possiamo pensare che qualcun altro in altre situazioni di fragilità abbia il coraggio e gli strumenti per accettarle.