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“Qui mi sento più libero”: parla il manager che si è licenziato per vivere ai Caraibi e poi è tornato a Como

Antonio Iannone ha lasciato nel 2015 un impiego da manager in Svizzera per aprire un chiosco di street food ai Caraibi. Ma dopo un paio d’anni è tornato indietro. “In mezzo all’oceano tutto diventa difficile e costoso, e su un’isola di 200 chilometri quadrati dopo un po’ ti senti prigioniero. Però rifarei tutto”
A cura di Francesca Del Boca
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Molla tutto per aprire un chiosco a due passi dal mare dei Caraibi. Ma fa il biglietto di ritorno per la sua Como solo due anni dopo. È la storia di Antonio Iannone, ex manager lombardo che nel 2015 ha abbandonato la scrivania dell'ufficio in Svizzera e si è trasferito nell'isola di Aruba, con tanto di moglie e figlia, dall'altra parte del mondo. Un salto nel vuoto con la retromarcia che ultimamente ha fatto il giro d'Italia.

Che lavoro facevi prima di partire? 

Ero quello che si definisce middle-manager in una società farmaceutica svizzera. Un lavoro stabile e sicuramente più che appagante dal punto di vista economico. Ma…

Ma? 

Ma al benessere economico faceva da contraltare una terribile vita di routine. Dalla sveglia mattutina alla buonanotte, le giornate erano tutte perfettamente uguali. Questo iniziava a pesarmi parecchio.

Come è nata l'idea dei Caraibi?

Eravamo stati ad Aruba due volte in vacanza perché il mio migliore amico Davide si era trasferito lì e nel 2014, pochi mesi prima delle nostre seconde vacanze, ha aperto un food truck di cibo italiano. Unendo la voglia di cambiare vita con la passione per il cibo e questa possibilità è nata l’idea di trasferirci ai Caraibi.

Che aspettative avevi su questo trasferimento dall'altra parte del mondo?

Grandissime aspettative non ce ne erano, volevamo solo un’altra vita.

Le persone intorno a te come commentavano? Ti incoraggiavano?

Assolutamente, l’entusiasmo intorno a questa iniziativa non è mai mancato. I miei ex compagni delle superiori avevano anche organizzato una cena d’addio in mio onore.

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Quale era la vostra quotidianità di famiglia sull'isola? 

Si partiva la mattina con la spesa, il pomeriggio riposo e attività di back office e social, la sera via con il truck o in giro per le ville a cucinare con un servizio di personal chef. Nel tempo libero, ovviamente, solo ed esclusivamente spiaggia.

Perché avete deciso di andarvene così presto da Aruba?

Motivi veri davvero non ce ne erano. Ne avevamo mille per restare e altrettanti per tornare. Alla fine ha prevalso la nostalgia di casa, tutto qui.

Cosa ti mancava dell'Italia?

Certamente il fatto di avere sempre tutto a portata di mano e a prezzi accessibili, e posso assicurare che non è una cosa banale. Dal Wi-Fi ai pezzi di ricambio, su un’isola in mezzo all’oceano tutto diventa più costoso e difficile da ottenere. Il cibo italiano ovviamente non è mai mancato, seppur a prezzi quasi folli.

Un’altra cosa era il senso di libertà. Da Como, dove abito, possiamo raggiungere facilmente in due ore diverse località per staccare e ricaricare le batterie. Su un’isola di 200 chilometri quadrati, seppure bellissima, dopo un po’ inizi a sentirti prigioniero e l’unico modo per staccare è farsi 3 ore e mezza di aereo per Miami. Non proprio la stessa cosa.

Qual è il peggiore difetto di Aruba?

Direi l’estrema indolenza e la scarsa cultura del lavoro o del cibo dei suoi abitanti. Fatte le dovute eccezioni, sia chiaro.

Non tornerete più sull'isola? 

Ci sono tornato solo io nel 2019 per un matrimonio. E ci ritorneremo, solo che prima vorremmo visitare altri posti.

È stata un'esperienza negativa?

Assolutamente no. Un’esperienza di questo genere, pur con tutti i suoi problemi, non potrà mai essere negativa. Ci ha certamente forgiato tutti e tre nel carattere, facendoci affrontare la vita con più tranquillità. Ora siamo soliti ripetere “Abbiamo portato un container con dentro una macchina avanti e indietro da Aruba, cosa dovrebbe preoccuparci?”.

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Progetti altri trasferimenti futuri all'estero?

Trasferimenti assolutamente no, almeno per i prossimi cinque anni. Mia figlia ha appena iniziato le superiori, ora ci occorre stabilità. In futuro? Chissà. Al momento stiamo bene in Italia.

Non ti penti mai di essere tornato a Como, quando apri la finestra e vedi il brutto tempo?

Noi siamo stati ad Aruba nel periodo più piovoso della sua storia, uragano Matthew compreso! Ma sì, ogni tanto la nostalgia del caldo tutto l’anno arriva, anche se persino l’assenza di stagioni porta qualche ripercussione a livello emotivo. Rimpianti comunque mai, rifaremmo tutto, dalla partenza al ritorno.

Cosa ti manca dei Caraibi?

Sicuramente sole e mare. Non certo i cosiddetti ritmi di vita lenta, perché con due attività di ristorazione non li abbiamo mai avuti…

Adesso cosa fai? Sei contento?

Sono rimaso a contatto col cibo, ma in un’altra veste. Ora mi occupo di innovazione in campo agroalimentare, faccio consulenze, docenze, giornalismo di settore e open innovation. In questo preciso momento sono a Dubai per COP28, dove parlerò delle relazioni tra agrifood-tech e cambiamenti climatici.

Il ritorno da Aruba è stato duro, ma grazie ad un altrettanto duro lavoro, dopo sei anni sono diventato un punto di riferimento per il settore in Italia. E questo non può ovviamente che farmi piacere. Se nel 2017, tornato dai Caraibi, mi avessero detto che nel 2023 sarei stato uno speaker della conferenza sul clima sicuramente non gli avrei creduto.

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