Giulia Tramontano è la trentanovesima vittima di femminicidio in Italia dall’inizio dell'anno. La sua morte ha molto colpito l’opinione pubblica: erano in molti a sperare che Tramontano, incinta al settimo mese e scomparsa da qualche giorno, si fosse allontanata volontariamente dopo aver scoperto che il compagno, Alessandro Impagnatiello, aveva una relazione con un’altra donna. Stanotte però Impagnatiello ha confessato di aver ucciso la donna e di averne occultato il cadavere.
La sensazione, nel momento in cui è stato lanciato l’allarme sulla scomparsa di Tramontano, era quella di una storia già scritta. Quando in Italia una donna scompare, è raro che abbia scelto di rifarsi una vita da qualche parte. Molto più probabile che un partner, l’attuale o un ex, abbia deciso di mettere fine alla sua vita. Nonostante gli omicidi volontari siano in continuo calo, la violenza contro le donne continua infatti a mantenersi stabile o addirittura ad aumentare: secondo i dati del Viminale, nel 2022 c’è stato un aumento del 12% di donne uccise rispetto all’anno precedente.
Il copione è spesso lo stesso: una donna decide di porre fine a una relazione e il suo compagno cerca di riaffermare un ultimo e definitivo possesso attraverso l’omicidio. Molto spesso questo epilogo è preceduto da una serie di violenze e abusi, magari anche da qualche denuncia, ma il destino di queste donne sembra già scritto, così come le reazioni della stampa: le donne dovrebbero imparare a difendersi, riconoscere i segnali, lasciare al primo schiaffo, cose così. Mai nessuno che invece consigli agli uomini di non ammazzare le proprie compagne.
Anzi, proprio come sta accadendo in queste ore nei confronti di Impagnatiello, è più facile che cominci il walzer del ragazzo perbene, insospettabile, che guadagnava un buon stipendio e che non aveva mai mostrato atteggiamenti violenti. Ma ormai dovrebbe essere chiaro che la violenza di genere non ha etnia, età o classe sociale: a uccidere sono italiani e stranieri, pensionati, avvocati, guardie giurate, disoccupati, dai 20 ai 90 anni.
La diffusione, in queste ore, dell’hashtag #losapevamotutte, è la dimostrazione di come la violenza sulle donne sia ormai un fatto che abbiamo accettato e normalizzato, una circostanza che ci aspettiamo perché la nostra storia ha sempre lo stesso finale, anche perché non c’è davvero nessuno strumento per riscriverla. Le misure securitarie, l’innalzamento delle pene, l’introduzione di nuovi reati non hanno fermato la violenza di genere e non la fermeranno mai, perché il problema evidentemente risiede altrove.
Giulia Tramontano è stata uccisa durante quello che doveva essere un incontro chiarificatore, di confronto – come spesso accade nei casi di femminicidio. Anziché avere gli strumenti per affrontare la portata emotiva di questo incontro, Impagnatiello non ha saputo usare altri strumenti se non quello della violenza. C’è da stupirsi, in un Paese che non vuole l’educazione affettiva e sessuale nelle scuole perché i bambini vanno protetti da queste "brutte cose"? In un Paese in cui la maggioranza non si vergogna di votare contro la Convenzione di Istanbul al Parlamento europeo, strumento giuridicamente vincolante e legge dello stato che regola il sistema di contrasto alla violenza di genere, chiamando in causa la minaccia del “gender”?
Non sono l’educazione sessuale e il gender ad aver ucciso trentanove donne quest’anno. Sono uomini che non vogliono fare i conti con se stessi, favoriti da un clima assolutorio e che preferisce colpevolizzare le donne incapaci di scegliersi i fidanzati anziché coloro che le ammazzano. Legittimati da una cultura che minimizza la violenza implicita e si stupisce quando diventa esplicita, che chiama “mostri” o “pazzi” i violenti che produce ma soltanto una volta che hanno commesso una violenza.
Non ho nemmeno avuto tempo di finire questo articolo che è stata uccisa un’altra donna a Roma, stando alle prime indiscrezioni da un poliziotto suo collega. Anche stavolta #losapevamotutte, continuiamo a saperlo, e a non poterci fare niente.