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“Proporre visite private al posto di quelle pubbliche fa comodo alla Regione”: la denuncia di Agnoletto

Intervistato da Fanpage.it, Vittorio Agnoletto parla delle convenzioni delle strutture private con la sanità pubblica dopo la rivelazione di un’operatrice telefonica. “Un sistema che non funziona, con le liste d’attesa che provocano discriminazione sociale”.
A cura di Enrico Spaccini
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"Qui è il sistema in quanto tale che non funziona". Intervistato da Fanpage.it, Vittorio Agnoletto, medico, docente universitario e attivista di Medicina Democratica torna sulle rivelazioni fatte da una dipendente di una struttura ospedaliera privata accreditata al servizio sanitario regionale. L'operatrice telefonica ha raccontato di un premio in busta paga per chi riesce a convincere un paziente a rivolgersi alla sanità privata piuttosto che a quella pubblica.

In particolare si riferiva all'azienda per cui lavora, ovvero MultiMedica, ma secondo Agnoletto è uno schema che può essere seguito da altre strutture. "Il cittadino da ogni parte della Lombardia vive il problema delle liste d'attesa lunghissime", afferma Agnoletto, "e tocca con mano le proposte di passare al privato, se poi anche altri seguono il meccanismo di premialità è ancora da verificare".

Dove starebbe il problema?

Il problema è che queste strutture hanno un settore privato accreditato e, per la stessa patologia, un altro non accreditato. La tentazione di spostare le persone dal pubblico al privato è forte. Non sarebbe così se, ad esempio, uno ha dieci letti a disposizione e li accredita tutti dieci.

Come funziona l'accreditamento di una struttura privata al sistema sanitario regionale? 

Quando una struttura privata si accredita lo fa per un certo numero di visite o per un certo numero di letti. Non lo si fa mai per un settore clinico, o per tutte le visite che fanno o per tutti i letti che hanno. Si accreditano parzialmente.

Questo porta alle strutture accreditate un fiume di gente che altrimenti non li contatterebbero. In questo modo diventano parte del servizio sanitario regionale.

Quando tutto questo diventa un ostacolo per il cittadino?

Quando c'è una richiesta per visite ed esami, le strutture private accreditate tengono prezzi bassi per l'entrata. Ma questo non è altro che un'esca. Ad esempio, la donna che decide di fare una mammografia con una struttura privata accreditata paga magari 4 o 5 euro in più, se non la stessa cifra del ticket.

Il problema è che così entra nel percorso privato. Se c'è necessità di approfondire un nodulo per capire di cosa si tratta, con il privato gli fissano subito l'intervento e l'esame diagnostico che deve fare. Altrimenti, avendo fatto la visita dal privato, deve tornare dal medico generale, fissare una visita specialistica pubblica, rifarla e da lì vedere i tempi per fare l'intervento e le diagnostiche.

Dopo la prima tariffa d'ingresso a un prezzo accessibile, però, rimangono da sostenere tutte le altre visite a prezzi più alti. Poi voglio vedere se una persona con un dubbio, con un punto di domanda su una patologia rifà tutto il giro tornando indietro perdendo mesi o anni.

L'assessore al Welfare Guido Bertolaso ha detto di aver già fissato come obiettivo l'attivazione di un "cruscotto digitale" per verificare la disponibilità di tutte le strutture sanitarie.

In questa storia è mancata del tutto la voce della Regione. Secondo me l'assessore Bertolaso avrebbe dovuto dire: "Sono appena arrivato, domani mattina mando tre ispettori per vedere com'è la situazione". Ma avrebbe anche dovuto scusarsi anche per il ritardo dei colleghi prima di lui, Gallera e Moratti, e avviare immediatamente il centro unico di prenotazione.

Ma non le sembra legittimo che un'azienda privata curi i propri interessi?

La cosa incredibile è che l'operatore addetto a rispondere alle telefonate di chi intende andare con il servizio sanitario pubblico prende di più se lo passa sull'altra linea, quella del privato.

Per quanto riguarda l'aspetto etico-deontologico, invece, io ti porto delle persone al prezzo che pagano da me e tu li vuoi far passare dall'altra parte dove devono pagare di più?

Chi ci guadagna?

Questo comportamento porta a tre guadagni: uno per l'azienda accreditata, perché privatamente incassa di più che con il rimborso, uno anche se piccolo per l'operatrice del call center e uno per la Regione. Non erogando quelle visite attraverso il servizio sanitario, non deve poi pagare i rimborsi all'azienda privata. Insomma, per la Regione è un rimborso guadagnato.

Alla fine dei conti chi ci perde è il cittadino.

Che ruolo giocano le liste d'attesa interminabili?

Le liste d'attesa sono funzionali a dirottare le persone verso il privato e producono una discriminazione sociale. Anche perché verso il privato ci va chi può pagare.

Il problema non è tanto per un esame da poche decine di euro, ma quando una persona deve fare una tac, una risonanza: esami diagnostici fondamentali in campo oncologico. Tutti sappiamo che sui tumori il tempo può fare la differenza.

Se uno va col servizio sanitario deve pagare il ticket di qualche decina di euro, ma se deve arrivare pagare centinaia di euro se va con il privato, mica tutti se lo possono permettere. E una diagnosi in ritardo di mesi può fare la differenza tra la vita e la morte.

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