Professore di liceo di giorno, rider di notte: “Volevo fare l’atleta, ora pedalo per campare”
È l'una e mezza di notte e le strade di Milano sono deserte. Il caldo di agosto e l'ennesimo anno di lavoro ormai arrivato al termine hanno indotto i residenti a scappare dal forno ventilato che è diventata la città. In giro, a quell'ora, ci sono solo i tassisti, qualche giovane che rincasa dopo una birra con gli amici e i rider. Uno di loro lo si trova seduto quasi tutte le notti ai piedi delle colonne dell'Esselunga intento a leggere un libro.
Una, due, tre, quattro notti. Il rider è sempre lì, silenzioso e in attesa di una chiamata, l'ennesima di una serata che non intende finire mai. Da lontano non sembra esattamente il tipico fattorino del cibo. Non è giovane, non è vestito casual, non è perso nello schermo del suo telefono. Anzi, tutto il contrario. È in là con l'età, indossa una camicia sopra ad una maglia della salute dentro ai pantaloni e, appunto, legge su carta.
Affianco a sé ha la bicicletta a pedalata muscolare, davanti il borsone di Glovo. Occorrono quattro giri di luna per trovare il modo di approcciarlo: "Scusi, posso farle una domanda? Me la racconta la sua storia?". "La mia storia? – risponde sorpreso – Pensa sia così interessante?". La risposta è sì, la storia di Alberto (nome di fantasia scelto da lui) è tanto interessante quanto bella ma non manca di note agrodolci.
Nato in provincia di Varese, Alberto sogna sin da bambino di diventare uno sportivo: "Ero bello fisicato: alto un metro e ottanta, ho sempre avuto prestanza fisica. Purtroppo mio padre non voleva saperne e pretendeva che studiassi solamente. Così mi sono ritrovato nel liceo dove tutt'ora insegno a prendermi il diploma. Sono stato lontano solo per fare il militare, poi sono tornato a casa e ho cominciato a lavorare. Ma sono certo che avrei potuto fare l'atleta", racconta.
Il trasferimento a Milano arriva per ragioni di cuore: "Convivo con la mia compagna in una zona periferica", aggiunge mentre cerca di guardare ovunque tranne che gli occhi del suo interlocutore. Ma forse non sta guardando altro che la sua vita in un puzzle di ricordi per capire quanto può sbottonarsi con uno sconosciuto che gli si è seduto affianco all'una del mattino: "Questo lo dico, questo lo tengo per me. Questo sarà interessante?", pare chiedersi.
"Sono un insegnante di ruolo ma quanto percepisco di stipendio non mi permette di fare solo quello. E poi, ho sempre cercato sin da giovane di poter fare un secondo lavoro perché la mia professione principale mi dava del tempo libero per poterlo fare ma non ci sono mai riuscito".
Il rider lo fa – come detto – per arrotondare, per darsi una mano da solo ad arrivare a fine mese, nonostante la fatica della pedalata Alberto non la senta: "È semplice come lavoro, non ti impegna la testa e ha dei risvolti positivi: fai dell'esercizio fisico, giri Milano e ho scoperto che fare una consegna porta emozione".
Poi, un momento di pausa. Alberto riflette sulla sua doppia veste: docente di giorno, rider di notte. Trenta secondi di silenzio dopo dà voce ai suoi pensieri: "Forse quando si pensa a un professore si ragiona ancora su una sorta di lavoro culturalmente elitario messo in pratica da chi non potrebbe mai prendere una bicicletta e pedalare avanti e indietro per consegnare cibo, specie di notte. Ma a me di quello che pensano le persone non è mai fregato molto".
Alberto pedala su e giù per le vie di Milano dal novembre del 2018. Caldo, freddo, pioggia, neve: niente gli impedisce di salire in bicicletta e andare a fare le consegne. Da quando ha iniziato ne ha contate circa tremila: "Avrò saltato quattro sere in tre anni e mezzo", dice, prima di sottolineare che "comunque non è che si guadagni molto, eh. Stasera ho messo via 21 euro e 84 centesimi e sono quasi tutti grazie alle mance".
La stagionalità è importante, sia per la sua giornata che per i compensi: "Durante l'anno posso uscire solo la sera perché al mattino sono impegnato a scuola. D'estate invece posso consegnare anche di giorno ma quando arrivi a fine luglio i locali chiamano poco. Le persone sono partite per le vacanze, i ristoranti cominciano a chiudere. I supermercati che restano aperti potrebbero chiamare ma non lo fanno".
E allora, in attesa di un ultimo ordine, si legge un paio di capitoli del libro che si è portato dietro. Il clima, per il momento, glielo consente: "Certo, durante l'anno è un po' più complicato. La sera mi capita di restare fuori fino alle 3 di notte, poi la mattina dopo la sveglia suona alle 5.30 perché devo essere a scuola alle 8″.
Già, perché Alberto insegna nel liceo in cui ha preso il diploma, che è nel Varesotto, e per andare a lavoro si deve alzare molto presto. Non ha una macchina e quindi prende un autobus e un treno per arrivare puntuale. Terminato l'orario di insegnamento torna a casa, pranza, sistema l'appartamento e cena prima di uscire nuovamente in sella alla sua bici.
"Ma non si stanca a dormire così poco e lavorare così tanto?", "No, io mi sento un mezzo atleta, mi sposto bene in bicicletta, sono allenato. I miei 61 anni li vedo solo allo specchio, non li sento altrove. Uno dentro di sé è sempre un ragazzo per certi aspetti, è vedere le foto che ti fa accorgere che è passato il tempo. I capelli sono diventati bianchi, le rughe sono comparse sul volto, ma dentro di te sei sempre la stessa persona, salute permettendo", aggiunge mentre gli scappa un sorriso.
L'obiettivo è tirare fino all'età pensionabile, per la quale "mancano ancora tre anni, poi la speranza è di passare una vecchiaia in tranquillità”, dice ancora Alberto mentre torna a guardarsi in giro, lasciando quasi sospeso il discorso, affidandosi, forse, al cielo che tutte le notti gli fa da soffitto tra una consegna e l'altra.
O forse, ancora una volta, si sta prendendo una pausa per capire quali altre parole mettere in serie: "Io credo che dietro a cosa ci succede ci siano significati più profondi. Faccio un esempio: Io ho problemi economici e sono costretto a fare il rider che non mi permette di guadagnare chissà quanto per la fatica che si fa. Ma è altrettanto vero che io in questo modo sto a contatto con le persone, specialmente con i giovani, che a loro volta ti fanno sentire giovane".
Mentre esprime il pensiero non ha bisogno di cercare le parole con lo sguardo, non è in procinto di indossare una maschera per nascondere un senso di vergogna che non prova. Alberto è sincero, genuino. Dice di essere un solitario ma stare con le persone gli piace, seppur per pochi secondi, giusto il tempo di porgere il sacchetto con la cena e congedarsi dalle loro vite: "Non tutto il male viene per nuocere", sospira guardandoti – ora sì – dritto negli occhi.
Le parole si rincorrono e fanno perdere la concezione del tempo: "Si è fatta una certa, come dite voi di Milano, e qui non chiama più nessuno. Potrei pure pensare di andare a casa". Sì, perché sono le due e mezza del mattino e le strade sono orfane anche dei colori semaforici. C’è solo il giallo che si accende a intermittenza per regolamentare un traffico inesistente. Alberto monta in sella alla bicicletta e si accomiata: "Vada piano, mi raccomando". "Certo, se no domani chi le fa le consegne?".