Produrre una borsa che Armani vende a 1800 euro costa 93 euro: i margini svelati dalla procura di Milano
Quante volte passando davanti a una vetrina di un brand di alta moda, come quello di Giorgio Armani, c'è chi ha sgranato gli occhi nel vedere il prezzo di una borsa o di un occhiale da sole. E quante volte qualcuno si è domandato quale fosse in realtà il "prezzo di produzione" di quel prodotto così costoso. Ora tutto è stato svelato dall'ultima operazione del Nucleo Ispettorato del Lavoro del Comando carabinieri di Milano nelle indagini che hanno portato alla chiusura di alcuni laboratori cinesi, dove venivano prodotti – in subappalto non autorizzato – parte degli accessori a marchio Giorgio Armani.
Il Tribunale di Milano venerdì 5 aprile ha sottoposto ad "amministrazione giudiziaria" la Giorgio Armani Operations spa: la società controllata interamente dalla Giorgio Armani spa non è indagata ma sarà affiancata nella gestione dei rapporti con tutti i fornitori perché il pubblico ministero ha ritenuto che la carenza di controlli abbiano agevolato "colposamente" (e quindi non volontariamente) chi è accusato di caporalato.
Dalle indagini i militari sono riusciti a tracciare uno schema generale di sfruttamento dei lavoratori delle aziende che ottengono il subappalto non autorizzato da fornitori dei grandi brandi di moda. Tanto che poche ore dopo le disposizioni del giudice il presidente del tribunale del capoluogo milanese, Fabio Roia, ha ritenuto necessario avviare un tavolo sulle criticità della moda. Il Tribunale di Milano infatti a gennaio aveva emesso lo stesso provvedimento nei confronti di un'altra società legata a un alto brand di moda, Alviero Martini S.p.a.
Sfruttamento e sistema che i carabinieri hanno sintetizzato in un grafico in cui vengono evidenziati i prezzi di produzione e di vendita delle borse realizzate nei capannoni milanesi ora finiti sotto inchiesta. Ma quando costa realmente questa borsa? E chi realmente la produce?
Il brand di alta moda, in questo caso quello di Giorgio Armani, vende un loro modello di borsa a 1.800 euro circa nei negozi. La produzione era affidata, tramite la società appaltatrice interna, ad aziende appaltatrici italiane. Queste, però, a loro volta subappaltavano la produzione ad altre aziende, questa volta cinesi. Le aziende italiane finite nel mirino della Procura sono la Manifatture Lombarde srl con sede nel Milanese e la Minoronzoni srl di Bergamo.
Nel dettaglio – come riportano i giudici nel decreto di amministrazione giudiziaria – il meccanismo di appalti è il seguente: nel contratto tra la Manifatture Lombarde srl e la Giorgio Armani Operations spa è emerso che una volta che l'azienda del brand di alta moda "aveva ricevuto ed approvato i prototipi ed il campionario" appaltava i lavori alla società milanese "che non ha l'organizzazione d'impresa idonea ad evadere la commessa ricevuta, essendo sprovvista sia di un reparto di produzione sia di personale sia di macchinari adatti. È naturale conseguenza che la ditta appaltatrice si avvarrà, per la produzione in serie, di una propria rete di sub fornitori dettando loro costi di realizzazione e tempi di consegna". E in questo caso specifico ad aggiudicarsi i subappalti non autorizzati erano opifici cinesi.
Secondo i giudici infatti, facendo riferimento a uno schema più ampio: "L'azienda fornitrice dispone solo nominalmente di adeguata capacità produttiva e può competere sul mercato solo esternalizzando a sua volta le commesse ad opifici cinesi, i quali riescono ad abbattere i costi ricorrendo all’impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento".
Così la borsa che negli store del brand di alta moda viene venduta a 1.800 euro viene prodotta invece a un costo di 93 euro. Cifra che l'azienda subappaltatrice non autorizzata vende quindi all'azienda subappaltatrice autorizzata che a sua volta vende alla società appaltatrice in house a 250 euro. Fino al rincaro che fa schizzare il prezzo a quasi 2mila euro: questa la cifra che finisce nelle vetrine delle vie più prestigiose delle città italiane e straniere. Ma a che livello avveniva lo sfruttamento?
I carabinieri hanno ispezionato gli opifici cinesi in Lombardia e qui hanno accertato lo sfruttamento: tutti i lavoratori non erano stati sottoposti alla visita medica di idoneità; i "dipendenti" erano in grave pericolo perché erano stati rimossi i dispositivi di sicurezza dei macchinari e perché non erano correttamente custoditi i dispositivi chimici e infiammabili.
E ancora: i lavoratori dormivano in condizioni di fortuna. Le aziende infatti metteva a loro disposizione solo alloggi degradanti. Molti spazi infatti erano abusivi: ex locali utilizzati alla produzione venivano infatti trasformati in dormitori e cucina. Questo vuol dire che "il profondo stato di degrado della situazione alloggiativa" era un "alto rischio di pericolo per i lavoratori".
A tutto questo si aggiunge il fatto che i lavoratori venivano pagati 2-3 euro l'ora con stipendi di gran lunga inferiori al CCNL Artigiano-tessile.