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Perché non basteranno più poliziotti per rendere Milano più sicura secondo alcuni esperti

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha confermato che saranno inviati oltre tre milioni alla città di Milano per migliorare la sicurezza urbana. In questo modo sarà accontentata la richiesta del sindaco Giuseppe Sala. Ma davvero basteranno più agenti per risolvere il problema sicurezza?
Intervista a Dino Rizzi e Sonia Stefanizzi
Dino Rizzi è segretario regionale del sindacato Sindacato Italiano Appartenenti Polizia, Sonia Stefanizzi è direttrice di sociologia dell'Università Bicocca di Milano.
A cura di Ilaria Quattrone
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Dopo gli ultimi episodi di violenza a Milano, il sindaco Giuseppe Sala ha dichiarato che "pur non essendoci un'emergenza sicurezza a Milano", ha chiesto al ministro dell'Interno Matteo Piantedosi di inviare più agenti per presidiare maggiormente i punti nevralgici della città.

Qualche giorno dopo, Piantedosi ha inviato una circolare in cui chiedeva ai Prefetti di incrementare il numero di forze dell'ordine soprattutto nelle aree pertinenti le stazioni di Milano, Roma e Napoli e poi in altri punti della "malamovida". E nella serata di ieri, lunedì 27 marzo, in una videoconferenza con sindaci, prefetti e questori delle stesse città, il ministro ha annunciato che al capoluogo meneghino saranno destinati 3,7 milioni di euro per migliorare la sicurezza urbana.

Siamo proprio certi che per avere una città più sicura sia sufficiente avere più agenti? È scontato che un maggiore presidio del territorio possa essere utile, anche a prevenire i reati. Ma sarà mai possibile controllare 24 ore su 24 ogni angolo di strada? Quanti agenti ci vorrebbero? E davvero vorremmo vivere in una città militarizzata come fossimo in guerra?

Dello stesso avviso è il segretario regionale del sindacato Sindacato Italiano Appartenenti Polizia, Dino Rizzi, che in un'intervista a Fanpage.it ha spiegato come "le osservazioni del sindaco dimostrano una totale improvvisazione su un tema delicato come quello della sicurezza. È vero che, per i dati in nostro possesso, il livello di sicurezza in città è elevato. Però è impossibile pensare di poter avere un agente per ogni metro quadrato della città".

"In Italia purtroppo ogni situazione in cui la politica abdica diventa un problema di polizia. È lecito chiedersi: prima che il 24enne arrivasse a fare quello che ha fatto in Stazione Centrale, c'era qualcuno che poteva valutarlo e gestirlo? È chiaro che se le persone vengono abbandonate a loro stesse, poi si verificano episodi simili". "Quando la polizia interviene – aggiunge il poliziotto – significa che siamo in una fase di repressione di qualche fenomeno e significa che c'è stato un errore a monte. Nessuno nasce delinquente".

La percezione

È vero: nessuno nasce delinquente, ma purtroppo non tutti ne sono convinti. È più semplice pensare che alcune persone siano più propense di altre a commettere crimini per fattori legati all'etnia, a disagi psichici, sociali o economici. Una convinzione generata dalla paura di ciò che spesso non si conosce che a volte influenza una comunità a identificare alcune persone come nemico. E, tendenzialmente, è colui che è percepito come diverso.

"Il processo di criminalizzazione spinge a ritenere alcune persone come nemici. Pensiamo ai migranti, alla popolazione straniera, ma anche alle categorie vulnerabili come i tossicodipendenti, i senza fissa dimora. Si crea uno stigma, lo stereotipo di un nemico", spiega a Fanpage.it la professoressa Sonia Stefanizzi, direttrice di sociologia dell'Università Bicocca di Milano.

Questi convinzioni possono essere generate da informazioni fuorvianti che producono la percezione di vivere in territori insicuri. E, in molti casi, sono alimentate anche dall'uso dei social network. In questi ultimi anni abbiamo assistito alla creazione di pagine nate con l'intento di denunciare il degrado di alcune città italiane.

Il più delle volte, nei loro video, sono riprese particolari categorie di persone che, da sempre, sono ritenute portatrici sane di delinquenza. Quelle immagini potrebbero aiutare a confermare il dubbio, che per generazioni è stato instillato da tantissimi esponenti politici, che più persone di quelle fasce vivono nelle nostre città e vengono lasciate libere in strada più le nostre comunità sono insicure.

A queste convinzioni si aggiungono poi alcuni fattori che incidono sulla morfologia dei quartieri e sulla qualità delle relazioni sociali: "Il ricambio della composizione socio-demografica dei quartieri, le trasformazioni del tessuto sociale, economico e commerciale, la presenza di popolazioni diverse che hanno un uso differente dello spazio: tutti questi sono fattori che, insieme, producono un senso di insicurezza",

Un altro fattore è dato anche dalle trasformazioni urbane e dalla mobilità lavorativa che fa si che i quartieri "vengano sentiti in maniera più autonoma. Come luoghi dove non c'è più un controllo informale del cittadino. Sono quartieri che hanno perso qualsiasi senso di appartenenza. C'è una crisi di identificazione del cittadino con i luoghi che dovrebbero essergli familiari. A questo si aggiunge anche una fragilità dei rapporti sociali causata, non solo dai continui cambi, ma anche dallo spostamento della popolazione dal centro ad aree più periferiche".

Il processo di criminalizzazione e i migranti

Ma verso chi viene, il più delle volte, attivato un processo di criminalizzazione? I migranti, soprattutto, sono "percepiti spesso come responsabili di un disordine sociale. I cittadini, nei confronti di queste persone, condividono un comune sentimento di minaccia. Rispetto al migrante o alle categorie fragili si crea un circolo vizioso che è legato al concetto di visibilità: tanto più i migranti e le persone fragili sono visibili – continua la docente – tanto più si crede di vivere in una situazione di insicurezza". Questa percezione "può contribuire a creare situazioni oggettive di rischio" per i migranti e in generale per chi fa parte di fasce vulnerabili.

"Gli stranieri creano insicurezza, non perché sono criminali, ma perché il loro arrivo – spiega ancora la professoressa – è come se destabilizzasse la portata delle relazioni sociali e il senso di identità dei quartieri urbani. Questo fa si che le persone si rifugiano nella loro sfera privata e si creano incomprensioni proprio a causa di differenti stili di vita o codici comportamentali".

Migranti, clochard o tossicodipendenti, precisa ancora l'esperta, sono figure deboli socialmente che rappresentano qualcosa che non si vorrebbe mai diventare. Per molti raffigurano la precarietà e la fragilità della condizione umana: "Questo crea ostilità e l'idea del nemico. Rappresentano una vulnerabilità, qualcosa che fa paura. E così si tende a creare muri con una ricerca ossessiva e ingiustificata di sicurezza. Sono confini che non vengono creati allo scopo di separare, ma che creano spazi preclusi aumentando ancora di più le differenze e il disagio".

I clochard

E spesso questi soggetti vulnerabili vengono abbandonati dalle istituzioni stesse. Pensiamo, non solo ai migranti, ma anche ai clochard. Le persone senza fissa dimora vengono intercettati nel radar del Comune di Milano solo per sei mesi l'anno. Sostanzialmente quando viene attivato il piano freddo per evitare morti per le basse temperature. Durante il resto dell'anno? Non si tratta solo di fornire posti letto in strutture, che come è stato evidenziato nei mesi precedenti necessitano di iter di accesso più semplici e veloci, ma anche di alternative.

E cioè di attività, di luoghi di incontro e strumenti che possano prima di tutto impegnarli e aiutarli a uscire da condizioni, come l'abuso di alcol e sostanze stupefacenti, che poi favoriscono situazioni di violenza o aggressività. E in caso di persone straniere, come nel caso di migranti, andrebbero agganciati con mediatori o figure professionali che possano aiutarli e assisterli nel percorso di inserimento.

Alcuni clochard che dormono sull'autobus della linea 90
Alcuni clochard che dormono sull'autobus della linea 90

I giovani

Oltre a richiedere maggiori risorse per reprimere eventuali reati, il sindaco e il Comune dovrebbero iniziare a puntare anche su quel tipo di prevenzione che non si fa solo con il controllo di polizia del territorio. Un buon inizio potrebbe essere quello di favorire e aumentare luoghi e centri per lo svago che potrebbero essere ottime valvole di sfogo soprattutto per i più giovani.

Questi ultimi sono tra coloro che si ritrovano a dover fare i conti con una Milano che, soprattutto a livello economico, è sempre più respingente e che non gli permette di liberarsi dalle situazioni di disagio e degrado. E questo non fa che alimentare quella rabbia sociale che si trasforma in violenza e che, probabilmente, ha in sé un po' di rivalsa verso chi ha tutto e un pizzico di vendetta verso chi li ha dimenticati.

Non è un caso che spesso teatro di queste aggressioni, risse e rapine siano soprattutto i quartieri "più ricchi" e frequentati. Ma come si cura questa rabbia? La risposta l'aveva data a Fanpage.it il Procuratore dei Minori di Milano, Ciro Cascone: "Regalando opportunità. I giovani che vivono in condizioni di marginalità rischiano di non avere un pensiero, di non avere una progettualità futura. Bisogna lavorare sulle politiche giovanili. Spiegare ai ragazzi che c'è un'etica da rispettare e non ridurre tutto al codice penale".

Per il magistrato avere luoghi in cui incanalare questa rabbia è fondamentale: "Se non hai altre cose da fare che ti tengono impegnato, soprattutto se vivi una situazione di emarginazione e rabbia, dai sfogo a questa rabbia con la violenza".

Dello stesso avviso è la professoressa Stefanizzi che, citando il sociologo Robert K. Merton, spiega che quando ci sono "dei fini definiti socialmente importanti e non ci sono i mezzi per raggiungerli si creano fenomeni di devianza. Le persone per raggiungere questi fini ricorrono a mezzi illegali perché non hanno altro modo per raggiungerlo".

Cosa bisognerebbe fare? Perché quindi non basta avere solo più agenti di polizia? Perché sarebbe fondamentale investire su risorse e luoghi che spingano le persone a superare le differenze e la paura, ma allo stesso tempo che aiutino chi non ha possibilità a essere parte attiva della società.

"Pensiamo a Via Padova, che fino a qualche anno fa era teatro di scontri e situazioni che hanno generato forte insicurezza. Paradossalmente – spiega ancora la sociologa –  è una comunità dove c'è un legame sociale molto forte. Dove, negli ultimi anni, sono state create associazioni e c'è una ricchezza del terzo settore e che ha permesso di far fronte ad alcuni conflitti sociali".

"È importante creare legami sociali, forme di associazionismo, sviluppare il terzo settore se vogliamo che la comunità sia sempre più resiliente e superi questo senso di insicurezza".

"La videosorveglianza ha una funzione preventiva molto bassa, perché il fenomeno dell’insicurezza è molto complesso. Rispetto alla prevenzione, crea quello che viene definito un corto circuito. Vedere telecamere o agenti di polizia in ogni strada paradossalmente può sembrare che possa favorire sicurezza, ma da un lato accresce la sensazione di insicurezza. Per rispondere all’insicurezza e ai conflitti bisogna creare coesione sociale".

Carceri

La prevenzione è fondamentale. E potrebbe servire a ridurre i reati, ma non a eliminare totalmente il problema. Per questo motivo è altrettanto importante concentrare le energie anche su quei sistemi che dovrebbero avere uno scopo rieducativo. Anche perché, spesso, i reati vengono commessi da chi risulta già pregiudicato. E quindi è necessario prevenire ulteriori reati, commessi in recidiva.

Non tutti gli istituti penitenziari italiani, purtroppo, oggi riescono a favorire il reinserimento nella società di chi ci entra. Le innumerevoli criticità ostacolano il lavoro di educatori e direttori. A Milano ci sono tre istituti penitenziari per adulti e uno per i minorenni. E ognuno di loro ha le sue difficoltà.

A Milano, in pieno centro, c'è il carcere di San Vittore, sul quale, un mese fa, il sindaco Giuseppe Sala ha specificato che la "situazione è insostenibile" e che era in attesa di "una visita del ministro Nordio". Ne è consapevole anche il ministro della Giustizia che alcuni giorni fa ha detto: "È vero le nostre carceri sono sovraffollate, abbiamo ampi progetti per ridurre questa criticità". Il primo cittadino vorrebbe che venisse abbattuta la struttura in centro città e che venisse trasferita fuori. Ma è veramente questa la soluzione?

Non è la prima volta che si decide di risolvere un problema spostandolo dal centro città alla periferia. Basti pensare alla situazione di via Cagni dove molte persone, in attesa di vedersi riconosciuto lo status di rifugiato politico, sono costretti a ore e ore di fila fuori dagli uffici della Questura. Anche in questo caso, dove il Comune – così come denunciato dal sindacato della polizia a Fanpage.it – è un grande assente, il problema è stato trasferito e relegato in periferia.

Via Cagni
Via Cagni

Il sovraffollamento

Torniamo agli istituti penitenziari. L'ultima visita dell'Associazione Antigone al carcere San Vittore, avvenuta a giugno 2022, delinea un quadro preoccupante: i detenuti all'epoca erano 932, ma la capienza era di 746 persone. Nel 2022 è stato registrato un tasso di sovraffollamento del 124,9 per cento.

La situazione peggiore a Opera dove Antigone è entrata a maggio 2022: qui, al momento della visita, c'erano 1.230 detenuti a fronte di una capienza di 901 posti. Si tratta di un tasso del 136,5 per cento. Meno critica la condizione del carcere modello di Bollate dove Antigone, che è entrata a maggio 2022, racconta che al momento della visita c'erano 1371 detenuti a fronte di una capienza di 1251. C'era quindi un tasso di affollamento del 109,6 per cento.

Situazione psichiatrica

Tutti gli istituti penitenziari (o quasi) hanno poi un problema enorme con il trattamento di patologie psichiatriche. A San Vittore il Centro di osservazione neuropsichiatrica, per esempio, è stato chiuso per alcuni lavori di ristrutturazione: "La casa circondariale presenta difficoltà specifiche legate soprattutto alla salute e all'aggancio dei ristretti", scrivono da Antigone.

Al 2022 c'erano, inoltre, nove persone che aspettavano di essere trasferiti in una Rems (Residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza). Oltre a essere stato registrato un alto numero di suicidi.

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A Opera le condizioni dei detenuti in 14-bis, si tratta di un regime di sorveglianza particolare, sono molte critiche. Le condizioni igieniche erano – almeno fino a maggio 2022 – inaccettabili: "Il personale in servizio lamentava grosse criticità nella gestione dei soggetti psichiatrici e del reparto in generale", si legge nel report.

Nello stesso anno sono stati segnalati 23 episodi di autolesionismo, cinque tentativi di suicidi, due suicidi, nove atti di aggressione, 63 manifestazioni di protesta (sciopero della fame, della terapia), quattro danneggiamenti di beni, due incendi.

E anche a Bollate, la situazione non è molto diversa:  nonostante siano diminuiti rispetto all'anno precedente, i casi di autolesionismo sono stati 24 mentre i tentati suicidi sono stati quattro. Ci sono poi state 19 aggressioni ai danni del personale e fra detenuti e 31 atti di protesta.

Le condizioni delle strutture

Lo stato in cui versa la struttura di San Vittore, con due bracci chiusi e spazi fatiscenti, peggiorano la condizione di fragilità sociale di chi è detenuto. Nel reparto femminile, per esempio, le celle sono di dimensioni molto ridotte e i bagni non hanno né docce né bidet.

Inoltre non in tutte è garantita l'acqua calda: "In nessuna di quelle visitate, al piano terra e al primo piano, sono garantiti i tre metri quadrati calpestabili a persona". In due celle non c'era "neanche una porta a separare l’ambiente con i letti da quello bagno/cucina". E in molte di esse "manca il mobilio per contenere i vestiti e gli effetti personali, tenuti in scatole sotto i letti".

Le sezioni dell'istituto di Opera, nonostante siano state tutte ristrutturate, presentano alcune criticità: diverse docce avevano segni di muffa, non tutte le celle avevano almeno tre metri quadrati calpestabili e molte avevano finestre con reti a maglie strette che limitavano e offuscavano la vista. In una doccia del reparto clinico, addirittura, c'erano fili elettrici che pendevano dal soffitto e accanto alla doccia.

La sanità

A differenza degli altri due istituti, San Vittore presenta un problema enorme. All'interno ci sono detenute incinte. Purtroppo, in quell'istituto, non esiste una copertura ginecologica ventiquattrore su ventiquattro. E, infatti, a maggio 2022 una donna all’ottavo mese di gravidanza fu portata d’urgenza al Niguarda dove partorì il bambino già morto. Diversa, fortunatamente, è la situazione nell'istituto a custodia attenuata per madri detenute dove le condizioni sono buone e c'è una buona offerta trattamentale con educatori e volontari.

L'unica presenza costante è il servizio infermieristico. Non c'è invece un medico di reparto. I controlli vengono effettuati solo all'esterno. Inoltre quasi tutte le donne assumono farmaci per il sonno e gran parte per il controllo dell'ansia e disturbi di adattamento.

La situazione in carcere Beccaria

Che l'istituto penitenziario minorile di Milano versi in condizioni pietose è ormai noto. Soprattutto dopo che, a dicembre, alcuni ragazzi sono evasi. Prima ancora, ad agosto, un ragazzo è stato vittima di torture e violenze sessuali da parte di tre compagni di cella.

Vittima di lavori di ristrutturazione interminabili, che hanno dimezzato i posti disponibili, anche il Beccaria ha un problema di sovraffollamento. In totale ci sono 46 ragazzi, ma la capienza massima è di 31.

Alla questione degli spazi, che hanno per esempio favorito l'evasione dei ragazzi a dicembre, si unisce quella educativa: "Le tante attività trattamentali proposte – scrivono da Antigone – faticano a tradursi in percorsi significativi di inserimento lavorativo". Durante l'ultima visita, l'associazione ha rilevato un livello di apatia importante da parte di tantissimi giovani. In quell'occasione, hanno trovato i ragazzi di una sezione a letto e con le luci soffuse già alle 11.30 del mattino.

La referente di Antigone Lombardia, Verdiana Verdolini, aveva raccontato a Fanpage.it  che molte attività saltano a causa della carenza di personale. E infatti questo è un altro punto piuttosto critico. Pochi educatori e pochi agenti, spesso non formati, a cui si aggiunge il problema dato dalla direzione. In meno di un anno, sono stati cambiati ben tre direttori. L'ultima direttrice, inoltre, gestisce altri istituti per adulti: questo significa che è al Beccaria solo due giorni a settimana. Questa criticità dovrebbe essere risolta a settembre quando verrà inserita una figura stabile.

Anche qui, come negli istituti per adulti, c'è una difficoltà nell'approccio alla salute mentale. Addirittura, al momento della visita, c'era un ragazzo con il materasso a cavallo tra due letti e in orizzontale rispetto alle reti: "Alla domanda su tale ragione logistica, il giovane ha risposto che gli era stato imposto di dormire così per essere visto dagli infermieri dallo spioncino", scrive l'Osservatorio di Antigone.

Le condizioni, fin qui descritte, rendono complesso il percorso di recupero e incidono sulla possibilità che molti commettano nuovamente reati una volta usciti dal carcere. È quindi necessario investire anche sulla prevenzione alla recidiva. E, per questo motivo, aumentare il numero di poliziotti in strada potrebbe non essere la soluzione più efficace.

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