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Perché limitare le violenze sessuali a un problema di sicurezza in città non risolverà il problema

In seguito agli stupri avvenuti a Milano nelle ultime settimane, Sindaco e Ministro dell’Interno si incontrano per aumentare il presidio del territorio da parte delle Forze dell’ordine. Ma la maggior parte delle violenze avviene all’interno delle mura domestiche e contro queste nessuno fa niente.
A cura di Giorgia Venturini
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A Milano in media 34 ragazze al mese raccontano di essere vittime di violenza sessuale. Un numero non reale. Perché questo è il numero delle donne che denunciano, chissà quante sono le altre che decidono – nella maggior parte di casi per paura – di non rivolgersi alle forze dell'ordine.

A Milano le violenze sessuali – come ha spiegato a Fanpage.it l'ex primaria del pronto soccorso ostetrico-ginecologico alla clinica Mangiagalli del Policlinico di Milano Alessandra Kustermann – avvengono soprattutto in casa. Secondo i dati nazionali, solo il 7 per cento degli abusi viene commesso da un uomo sconosciuto alla vittima. I responsabili sono soprattutto amici, colleghi, ex fidanzati o attuali compagni. Ecco quindi perché palazzo Marino e palazzo Chigi non possono ridurre il problema delle violenze sessuali a un problema di sicurezza.

L'incontro di oggi tra il sindaco Giuseppe Sala e il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi non può essere solo un meeting sulla sicurezza in città. Se la trasferta milanese del ministro è quella di condividere strategie per ridurre (anche) le violenze sessuali a Milano, allora l'unica soluzione non può essere aumentare il numero di militari in Stazione Centrale notte e giorno.

La vittima di una delle ultime violenze sessuali è una turista di passaggio a Milano: la notte si è trovata in Stazione Centrale ed è stata violentata in un ascensore da uno sconosciuto. Aumentare le telecamere di video sorveglianza e le forze armate sul territorio potrebbe evitare episodi simili. E questo è sicuramente importante.

Ma qual è la soluzione a tutte le altre violenze sessuali? Ovvero a quelle che non possono essere riprese da telecamere? Perché anche se aumentassero gli apparecchi elettronici in tutte le vie della città, non ci sarà mai nessuna telecamera in un bagno di una discotecadove è avvenuta la violenza sessuale di sabato sera in via Padova – o all'interno delle mura domestiche.

L'incontro tra palazzo Marino e palazzo Chigi quindi si concentri pure sull'aumento dei militari e delle telecamere in stazione Centrale perché anche qui il numero di abusi deve essere zero. Ma che si discuta anche di altro.

Come si possono impedire la maggior parte delle violenze sessuali tra le mura domestiche? In questo caso la soluzione non è un mitra impugnato da un militare. Qui bisogna investire sull'educazione nelle scuole, su campagne di educazione rivolte agli uomini. Bisogna insegnare una volta per tutte che un "no" detto da una ragazza non è discutibile. Bisogna insegnare una volta per tutte che le donne vanno rispettate. Queste regole valgono sia per lo stupratore della stazione Centrale che per quello che ci ritroviamo in casa

Per questo creare allarmismo solo sulla paura in strada non risolve ma rischia di peggiorare il problema degli abusi. Perché come ha precisato la dottoressa Kustermann: "Che senso avrebbe costringere una donna a stare in casa per paura di uscire, quando sappiamo che le violenze sessuali avvengono soprattutto tra le mura domestiche?".

Investiamo quindi su telecamere e militari, ma anche sull'educazione. In questo incontro di oggi va dato l'esempio. I partecipanti al meeting (peraltro tutti maschi) dovrebbero impugnare il microfono e, rivolgendosi ai maschi della città, anche ai più piccoli, dovrebbero ricordare loro che la donna va rispettata. Sempre.

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Sono giornalista professionista dal 2020, ma faccio questo lavoro da molto più tempo. Nel settembre del 2020 sono arrivata a Fanpage.it inserendomi nella squadra della cronaca di Milano. Da anni mi occupo di criminalità organizzata soprattutto in Lombardia e di problemi ambientali: due tematiche che spesso si intrecciano tra di loro. Da un anno curo il progetto www.stampoantimafioso.it, un giornale online che si occupa di mafia e antimafia e che seguo insieme ad altri giornalisti e ricercatori che come me si sono laureati in Sociologia della criminalità organizzata.
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