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Perché le vasche di contenimento non bastano a evitare le esondazioni dei fiumi, ma la politica non propone altro

Tra un mese dovrebbe essere attiva la vasca di liminazione per contenere l’acqua del Seveso in caso di esondazione. Ma questa soluzione da sola non basterà: “Bisogna recuperare le aree naturali, riforestare le zone lungo i fiumi e inserire sistemi di drenaggio urbano sostenibile”, dice a Fanpage.it Andrea Agapito Ludovici, responsabile delle acque e dei fiumi per WWF Italia.
Intervista a Andrea Agapito Ludovici,
Responsabile delle acque e dei fiumi per WWF Italia.
A cura di Sara Tirrito
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L'esondazione del Seveso del 31 ottobre
L'esondazione del Seveso del 31 ottobre

L'esondazione del Seveso avvenuta il 31 ottobre ha portato Milano sott'acqua, con mezzi pubblici bloccati per ore e stazioni metropolitane completamente allagate. La protezione civile ha diramato l'allerta gialla per mercoledì 1 novembre, anche se gli enti continuano a monitorare le condizioni fluviali e i fattori di rischio. Molte le zone che possono straripare facilmente in Lombardia. Il fiume Seveso è l'osservato abituale, perché tende a esondare molto spesso. Causa principale, il consumo di suolo, che limita il deflusso idrico e rende il terreno impermeabile. Regione e comune continuano a rimbalzarsi le responsabilità sulla mancata attivazione delle vasche di contenimento in costruzione.

Ma per gli esperti queste vasche rischiano di non risolvere il problema a lungo termine: "Bisogna pensare a sistemi che funzionino sia quando l'acqua è troppa che quando è troppo poca", spiega a Fanpage.it Andrea Agapito Ludovici, responsabile delle acque e dei fiumi per WWF Italia.

Come commenta l'esondazione del Seveso avvenuta il 31 ottobre a Milano?

È un problema che si sta cercando di risolvere ma richiede tempo. Negli ultimi 50 anni il fiume è stato ristretto nel suo alveo e tutto il territorio intorno è completamente impermeabilizzato, quindi succede che già la piena è costretta in un alveo più piccolo, poi tutto il territorio intorno essendo impermeabile scarica violentemente e velocemente l'acqua nel Seveso. Quindi quando arriva già in piena e attraversa i comuni nella parte più bassa, il picco di piena raddoppia. Questo significa che si scarica a Milano, dove peraltro il fiume è in gran parte tombinato.

Cosa intende quando parla di un "territorio impermeabilizzato"?

Un territorio in cui ci sono tanti centri abitati: lì il terreno non riesce a trattenere l'acqua perché c'è l'asfalto. Questa impermeabilizzazione, che negli ultimi 50 anni ha coperto quasi tutta la fascia a ridosso del fiume, ha fatto sì che l'acqua non abbia la possibilità di trattenersi, penetrare nel terreno e andare a ricaricare le falde. Viene scaricata direttamente nel fiume, questo crea ulteriori problemi. Lo dico anche perché nel momento in cui si vanno a progettare le possibili azioni di contenimento bisogna tenerne conto.

Pensiamo a un parcheggio: il parcheggio è una spianata di asfalto. Oggi l'acqua nella maggior parte dei casi cade nel tombino. Se in quel parcheggio ci fossero degli autobloccanti, magari sarebbero in grado di assorbire e ridurre quel quantità d'acqua che invece viene scaricata nel corso d'acqua.

Come questo influisce nella progettazione?

Da una parte si sta realizzando una serie di casse di espansione o vasche di liminazione che hanno anche suscitato tutta una serie di problemi  in comuni come Varedo, Limbiate, Paderno Dugnano, Senago eccetera. È giusto che si facciano, perché il primo problema è cercare di trovare altro spazio per il fiume in mancanza di uno spazio naturale da recuperare. In parallelo però andrebbero elaborati dei piani di drenaggio urbano sostenibile. Questo vuol dire cercare di creare strutture anche naturali o seminaturali, come ad esempio delle trincee o delle aiuole, che favoriscono il drenaggio dell'acqua.

Esistono modelli virtuosi in questo senso?

Sì, in diverse città del centro Europa si stanno facendo piani urbani per cercare tutti gli spazi che possono essere utilizzati per favorire il trattenimento e la ricarica delle falde in città. Questo anche in zone marginali. Qualcosina si riesce a fare anche a Milano, ad esempio in via Pacini, dove è stata realizzata una trincea drenante. La direzione giusta è quella di intraprendere azioni che possano anche contribuire in vari modi nel territorio. Per esempio, si dovrebbero fare aree verdi in cui al di sotto del manto di vegetazione si inseriscano fasce drenanti con ghiaia o altro materiale che favorisca la penetrazione dell'acqua nel terreno.

Quindi quali sono le soluzioni?

Da un lato le casse di espansione sono l'unica soluzione nelle aree fortemente urbanizzate. Dall'altro servono piani di drenaggio non solo per cercare di ridurre la parte d'acqua che viene dalle zone urbane. Questo favorirebbe anche la ricarica delle falde, oggi sempre più basse a causa dei periodi di siccità. Le nostre falde oggi sono basse perché non si sono riempite nei momenti di alluvione: con i sistemi attuali, l'acqua è troppo violenta e non ha il tempo di fermarsi, trattenersi nel terreno e ricaricare le falde. Oltre a ciò, si dovrebbe puntare ai progetti di rinaturazione lungo i corsi d'acqua.

Cosa sono i progetti di rinaturazione?

Consistono nel ripristinare le aree di esondazione naturale laddove è possibile, cioè laddove non ci sono intere città di mezzo. In Spagna o in Germania hanno fatto dei bellissimi parchi lungo i fiumi. Sono dei parchi urbani ma anche aree di esondazione del fiume, per cui se il fiume esonda non finisce tra le case. Oltre a questi interventi, laddove ci siano zone di esondazione naturale, dove è possibile si deve ripristinare le vecchie lanche che c'erano lungo i fiumi, riforestare le sponde. Ove possibile, queste sono le azioni da fare anche in ottica di adattamento ai cambiamenti climatici perché si va a recuperare una fascia che un tempo era naturale che è una specie di spugna.

Laddove piova molto, questa fascia tende a trattenere l'acqua, a raccoglierla nelle falde, e quando il periodo cambia e c'è la siccità quest'acqua viene lentamente rilasciata. Queste fasce diventano tamponi. Abbiamo visto quanto siano stati devastanti i periodi di siccità per il Po e quanto siano stati altrettanto devastanti le alluvioni. Dobbiamo riequipaggiare il territorio affinché contribuisca a ridurre questi picchi climatici che sono ormai facce della stessa medaglia. Ci occupiamo di alluvioni o di siccità ma dovremmo pensare a come occuparci della gestione delle acque in generale. Ripristinare queste aree aiuterebbe a gestire tutti i fenomeni estremi, quando piove poco e quando piove tanto. Siccità e alluvioni sono facce della stessa medaglia.

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Ad oggi abbiamo capito come gestire, anche al livello nazionale, i due momenti di siccità e alluvioni?

Come wwf abbiamo promosso un piano di rinaturazione del Po che è stato inserito nel Pnrr. È un progetto volto a ripristinare le lanche nei boschi ripariali e lungo il corso d'acqua.

Le vasche di laminazione, soluzione proposta per il Seveso, sono la giusta soluzione?

Lungo il Seveso si può fare poco. Le vasche sono sicuramente una soluzione da attuare ma ci si illude se si pensa che sia l'unica. Accanto a questo servono piani di drenaggio urbano sostenibili e laddove possibile bisogna cercare di recuperare le relitte aree naturali rimaste. Tutte queste soluzioni, in un territorio così vasto e complicato, vanno applicate insieme. Solo così si può pensare di gestire meglio i picchi di piena e di ridurli. Bisogna poi pensare a soluzioni utili per diversi momenti dell'anno, a sistemi articolati che consentano di gestire l'acqua in modo più sostenibile e tenendo conto dei cambiamenti climatici che ci stanno sempre più mettendo alla prova.

In un'epoca di cambiamento climatico siamo in grado di prevenire i rischi con i mezzi attuali?

Il problema è che gli interventi sul territorio vanno previsti con uno scenario a medio e lungo termine. Con un cambiamento climatico che stiamo vivendo, per esempio, i bacini devono tenere conto di portate proporzionate. È qui la nostra più grande critica: continuiamo a fare interventi che sono ancorati a logiche del secolo scorso, cioè si canalizzano i fiumi, si continua a consumare il suolo, a costruire lungo i fiumi. Si toglie spazio ai fiumi e poi è chiaro che i danni sono maggiori se esondano o la piena ci mette un terzo del tempo a fare lo stesso spazio che percorreva dieci anni fa. Oggi bisogna recuperane lo spazio dei fiumi, come si sta già facendo con il Po, e si deve riforestare, perché i boschi proteggono dall'erosione, trattengono il materiale e anche l'acqua se il fiume è sufficientemente ampio come dovrebbe essere.

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In Lombardia si è creato un rimpallo di responsabilità tra comune e regioni per la vasca di liminazione non ancora pronta a Milano Nord. Secondo lei perché?

È una discussione che non voglio commentare. In generale, mentre la Protezione civile è riuscita a creare un sistema di allerta univoco al livello nazionale, sugli interventi lungo i fiumi ogni Regione fa quello che gli pare. Nonostante le direttive europee insistano per affidare il controllo alle autorità di bacino, in realtà il potere in Italia è tutto in capo alle Regioni. I governatori regionali sono i commissari, hanno poteri speciali dal 2009-2010, e dovrebbero cercare di intervenire. Il governatore deve programmare gli interventi adeguatamente. Le regioni coordinano gli interventi, ma di solito la manutenzione è demandata ai consorzi o ai comuni. Questo implica una frammentazione delle competenze, per cui spesso viene fatta male e dopo se ne pagano le conseguenze.

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