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Perché l’arresto in carcere di Bilal è una sconfitta per tutti noi

Nessuna delle quindici comunità dove è stato ospitato è riuscita a convincere il giovane rapinatore che possa esistere per lui un futuro migliore dal delinquere.
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Immagine di repertorio
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Che abbia dodici anni, come si credeva inizialmente, o quattordici come un nuovo esame osseo dimostrerebbe, l'arresto in carcere di Bilal è una sconfitta per tutti, innanzitutto per le istituzioni italiane. Autore di sei furti nel giro di neanche dieci giorni, il ragazzino, che si riteneva di non poter chiudere in galera perché più piccolo dell'età imputabile, è ora stato trasferito nel centro di prima accoglienza (Cpa) del carcere di Torino.

Chi è Bilal

Arrivato in Italia da solo, come straniero minore non accompagno, Bilal è in fuga. Poco importa da cosa, se da qualche guerra o semplicemente dalla povertà. Ma per aver lasciato neanche maggiorenne la famiglia ed essersi recato, con chissà quale mezzo di fortuna, in Italia di sicuro è in fuga da qualcosa.

Probabilmente sperava di poter avere un futuro migliore di quello che aveva in patria (il Marocco, probabilmente) e invece, arrivato qui, qualcosa deve avergli fatto pensare che non può avere nessun futuro da quello di fare il delinquente.

Altrimenti non sarebbe scappato per ben quindici volte da altrettante comunità in cui era stato messo: dal Centro per minori dei servizi sociali di Genova addirittura dopo neanche tre ore. Eppure in nessuna comunità (e ne ha girate tante: da Salerno a Torino, passando per Roma e Milano) sono riusciti a convincerlo che ci potrebbe essere per lui un futuro migliore di andare a rubare.

Così ogni volta è tornato a delinquere, fino a suscitare perfino indignazione perché, essendo convinti che avesse soltanto dodici anni, non poteva essere arrestato. E quindi, dopo essere stato trasportato in una nuova comunità, scappava e rubava di nuovo. Suscitando ancora più indignazione nel pubblico.

L'arresto in carcere

Dopo l'ultimo furto, avvenuto il 20 ottobre a Milano, sono scattate le manette per Bilal, perché è emerso che il ragazzo non ha dodici ma "ben" quattordici e quindi può essere imputabile. Così ora è finito in carcere. Ma l'età di Bilal non è l'unica cosa che, in realtà, non si conosce su di lui.

Lo stesso Bilal non è, infatti, un nome certo. Si sa, perché lo ha raccontato lui al Corriere della sera, che è da solo in giro per l'Europa da quando ha nove anni. Da Fez, dove vive la famiglia, si sarebbe imbarcato dal porto di Tangeri, per poi arrivare in Spagna. Lì ha viaggiato, da solo e senza avere neanche dieci anni, "infilato tra il pianale e il motore di un camion".

La sua età, non precisa, è stata ricostruita grazie a un esame osseo, quello che di solito viene realizzato ai cadaveri per capire quale fosse la loro età prima che morissero. A lui viene eseguito per sapere se può essere rinchiuso in un carcere o, invece, "soltanto" in una comunità per stranieri minori non accompagnati.

E finalmente arriva l'esito per molti positivo: è imputabile e quindi può essere messo in cella. Da lì non potrà fuggire e, almeno per un po', smetterla di essere un fastidio per i cittadini. Poco importa che, se nessuna comunità è riuscito a fargli credere nella speranza di un futuro, difficilmente ci riuscirà un carcere, da cui molto spesso si esce più delinquenti di quando ci si è entrati (il tasso di recidiva è del 40 per cento nei tre anni successivi alla scarcerazione, contro il 15 per cento degli adulti).

Ma molti esultano perché finalmente un antipatico criminale è stato assicurato alla giustizia, quando in realtà un'altra giovane vita è stata sprecata, invece che recuperata, dall'incapacità delle istituzione e dall'egoismo delle persone, che preferiscono rinchiudere un bambino in galera piuttosto che adoperarsi per salvare un essere umano.

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Giornalista dal 2012, attualmente sono capo area Milano a Fanpage.it. Già direttore responsabile di Notizie.it, lavoro nell'editoria digitale dal 2009. Docente e coordinatore dell'Executive Master in Digital Journalism dell'Università Umanitaria. Autore di tre libri inchiesta sulla criminalità organizzata. Nel 2019 ho vinto il "Premio Europeo di Giornalismo Giudiziario e Investigativo".
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