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Perché inasprire le pene contro la violenza sulle donne non serve, secondo il presidente del Tribunale di Milano

Per Fabio Roia presidente facenti funzioni del Tribunale di Milano, inasprire le pene non basta a eliminare la violenza di genere: “Pensare che lo si risolva solo in ambito giudiziario, è veramente riduttivo”, ha spiegato a Fanpage.it.
A cura di Ilaria Quattrone
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Oggi, sabato 25 novembre, si celebra la giornata internazionale per l'eliminazione delle violenze sulle donne. Sono tantissime le iniziative che si svolgeranno in tutta Italia. A Milano, per esempio, ci sarà un presidio in Largo Cairoli dal titolo "Il patriarcato uccide" dove ci saranno diverse associazioni impegnate per il contrasto alla violenza. Sulla base degli ultimi dati, sono 106 le donne uccise: tra queste, 87 sono in ambito familiare o affettivo, di cui 55 per mano del compagno o dell’ex.

È chiaro che ci sia un problema culturale e sociale alla base di vessazioni, insulti, molestie, maltrattamenti, violenze e femminicidi. Ed è per questo che, secondo lo stesso Fabio Roia presidente facenti funzioni del Tribunale di Milano, inasprire le pene non basta a eliminarlo: "Pensare che lo si risolva solo in ambito giudiziario, è veramente riduttivo", ha spiegato a Fanpage.it.

Fabio Roia
Fabio Roia

Dottore, per contrastare la violenza contro le donne è necessario inasprire le pene?

Assolutamente no, noi abbiamo già un sistema sanzionatorio adeguato dove ci sono pene proporzionate per singole fattispecie di reato. Non è questa la strada da perseguire, anche perché questo è un problema strutturale, sociale, culturale che interessa tutti gli ingranaggi della società. Pensare che lo si risolva solo in ambito giudiziario, è veramente riduttivo.

Certamente l'ambito giudiziario, soprattutto quella penale, deve svolgere la propria funzione in maniera efficace, intelligente, competente e dando risposte di protezione e sanzione in tempi ragionevoli e certi. Ma questo è un problema che riguarda anche una subcultura radicata nel nostro Paese.

Secondo Lei, è utile introdurre l'educazione sentimentale nelle scuole? E cosa ne pensa relativamente alla necessità di affidare questo compito agli influencer? Servirebbero persone formate sul tema? 

Secondo me è utile proprio perché i dati che ci stanno arrivando – mi riferisco a quelli del tribunale di Milano – vedono la maggiore consumazione di reati di violenza sessuale, atti persecutori e maltrattamenti contro familiari e conviventi nella fascia d'età che va dai 18 a 35 anni. Parliamo del 45 per cento delle persone imputate di questi reati. Questi dati evidenziano come le giovani generazioni abbiano percepito questo modello di predominio maschile nei confronti della donna.

Evidentemente tutta l'attività di prevenzione, che forse si sta facendo in maniera un po' confusa, frammentaria e non organica a livello di educazione da parte delle scuole, deve essere organizzata e strutturata. Così come si insegna la letteratura, la matematica, la storia, la filosofia è opportuno intervenire con un tempo dedicato all'educazione sentimentale.

Io credo che sia necessario farlo già dalla scuola elementare magari con un adeguato corso che educhi al rispetto della diversità, dell'affettività e della diversità di genere.

Su chi debba poi tenere questi corsi di educazione, credo che ci voglia gente che sappia parlare il linguaggio dei giovani, che sappia aggredire la pancia. il cuore e la testa dei giovani. Ci vogliono esperti e sicuramente insegnati preparati ah hoc.  Potrebbero essere coinvolti anche gli influencer purché sappiano bene di cosa stiamo parlando.

Alcuni giorni fa, un uomo ha lanciato l'acido contro l'ex fidanzata che aveva presentato più volte denuncia. Cosa ne pensa? Non è stata tutelata abbastanza? 

In questo caso c'è stata un'attenzione da parte dell'autorità giudiziaria con l'applicazione di diverse misure che sono state graduate. Il problema è un altro e si chiama adeguata valutazione del rischio che non semplice da affrontare.

È necessario affinare questa valutazione perché questi soggetti sono molto manipolatori, tendono a negare. A un certo punto, si presentano falsamente pentiti di quello che hanno fatto e falsamente rieducati.

Il problema è fare un'analisi criminologica della personalità. Bisogna affinare le competenze in questo settore, magari pensando, sul piano della valutazione del rischio, di farsi affiancare da qualcuno di esperto.

Secondo lei, il codice rosso va migliorato?

Il codice rosso ha funzionato perché ha eliminato una delle grandi cause di femminicidio che è quella della stagnazione della denunce. Molte volte queste denunce di violenza non venivano trattate, investigate e lette preventivamente e di conseguenza non si muovevano le indagini.

Il codice rosso ha avuto un grande merito: tutti gli uffici di Procura adesso trattano immediatamente le denunce per violenza contro le donne, le istruiscono, fanno delle indagini. Secondo l'ultima rivelazione del Consiglio superiore della Magistratura che è stata pubblicata nel 2021, nel 90 per cento delle Procure c'è almeno un pubblico ministero specializzato in questa materia e viene fatta una valutazione del rischio con richiesta di misura cautelare a protezione della donna.

Quindi non passa troppo tempo tra la denuncia e l'ordinanza di custodia cautelare? 

No, non passa troppo tempo tra la denuncia e l'ordinanza di custodia cautelare. Almeno nel caso di Milano, assolutamente no. Di fatti nei dati che abbiamo presentato, il 70 per cento di tutte le custodie cautelari riguardano reati da codice rosso: atti persecutori, violenze e violenza sessuale.

Nell'ultimo anno sono aumentati gli imputati e i condannati per violenza contro le donne? 

Sì, sono aumentati i procedimenti e i processi ed è un buon segnale perché laddove c'è un aumento di denunce vuol dire che c'è una diminuzione del fenomeno sommerso. Significa che la donna crede nell'istituzione giudiziaria, denuncia e si fa aiutare. Certamente la denuncia è l'inizio di un percorso. A questo punto è necessario che il sistema giudiziario dia una risposta di protezione, garanzia e di certezza e di ragionevole durata dell'intervento, che deve essere immediato.

Alcuni magistrati ritengono necessario che nei processi si eviti che la vittima sia costretta a ripetere il racconto della violenza subita. Cosa ne pensa?

La legge già lo dice e lo consente. Si può fare l'anticipazione della testimonianza con lo strumento dell'incidente probatorio e durante la fase delle indagini preliminari. Questa è la strada da perseguire, ma ci vogliono risorse: servono pubblici ministeri e giudici che siano in grado di farlo.

Rispetto a Milano, abbiamo il 21 per cento di scopertura di giudici. Mancano molti giudici: è un problema di risorse. La legge ci consente di farlo e questa sarebbe un'idea per proteggere ulteriormente la donna ed evitare di sentirla a troppa distanza di tempo.

La sorella di Giulia Cecchettin ha affermato che il femminicidio è un omicidio di Stato. Cosa ne pensa? 

Ho troppo rispetto per la sofferenza che ha generato questa vicenda per commentare qualsiasi tipo di affermazione. Generalmente, a prescindere da questa vicenda, credo che molto sia stato fatto sia a livello normativo che di professionalità e formazione, ma che ancora molto ci sia da fare soprattutto nell'ambito del contesto sociale che non condanna ancora sufficientemente nella quotidianità, gli agiti violenti dell'uomo nei confronti della donna.

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