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Perché il sindacalista accusato di abuso sessuale è stato assolto anche se l’hostess non aveva dato il suo consenso

Un’assistente di volo dell’aeroporto di Malpensa (Varese) aveva denunciato nel 2018 un sindacalista per violenza sessuale. L’imputato è stato assolto in primo grado e in Appello perché, sostengono i giudici, si è fermato quando, dopo 30 secondi, la donna ha espresso il suo dissenso. Il consigliere della Corte d’Appello di Roma, Valerio de Gioia, ha spiegato a Fanpage.it quali sono i problemi di interpretazione legati alla norma in questione e perché il consenso di una persona non si deve mai presumere.
Intervista a Valerio de Gioia
Consigliere della Corte d'Appello di Roma
A cura di Enrico Spaccini
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Foto di repertorio
Foto di repertorio

Un sindacalista è stato assolto sia in primo grado che in Appello dall'accusa di violenza sessuale nei confronti di un'assistente di volo dell'aeroporto di Malpensa (Varese). La donna si era ritrovata nel marzo del 2018 nella saletta della sede dell'associazione sindacale per un incontro con un rappresentante e, mentre lei stava sfogliando alcuni documenti, questo le avrebbe messo le mani sulla schiena, l'avrebbe baciata al collo, toccato il seno fino ad arrivare a infilare le mani nello slip. Dopo circa 20-30 secondi, la donna lo avrebbe fermato chiedendogli "cosa stesse facendo". Secondo il Tribunale di Busto Arsizio e poi anche secondo quello di Milano, l'imputato deve essere assolto perché non è stato violento o minaccioso e perché si è fermato alla manifestazione del dissenso della donna.

Valerio de Gioia, giudice consigliere della Corte d'Appello di Roma, intervistato da Fanpage.it ha spiegato quali sono i problemi legati all'interpretazione della norma che regola il reato di violenza sessuale e perché prima di un approccio fisico ci deve essere sempre il consenso da parte dell'altra persona.

Valerio de Gioia
Valerio de Gioia

La Corte d'Appello di Milano ha confermato la sentenza di assoluzione in primo grado del Tribunale di Busto Arsizio per il sindacalista per la condotta nei confronti dell'assistente di volo. Ma quindi è possibile compiere atti sessuali nei confronti di una persona solo perché lei non dice di "no" nei primi secondi dell'approccio?

La questione è se veramente dobbiamo stare con un orologio per stabilire quando si verifica una violenza e se queste situazioni non possono essere un po' più chiare, sia a tutela della vittima sia anche a tutela dell'imputato. Nei fatti, se un uomo si approccia a una donna ipotizzando ci sia interesse, non si può trovare un domani imputato di violenza sessuale. D'altro canto, una donna per il solo fatto di essere scioccata, o essere stata gentile, di non aver reagito nell'immediatezza, non può accettare che quegli atti possano proseguire contro il suo volere.

Mi sembra che i giudici della Corte d'Appello di Milano abbiano richiamato i princìpi della giurisprudenza in maniera puntuale. Il problema, però, si è verificato a livello di accertamento del caso specifico. Nel capo d'imputazione è scritto che l'uomo, dopo che la donna aveva manifestato espressamente il proprio dissenso rispetto a una serie di toccamenti, abbia comunque proseguito addirittura toccandola in altre parti ancora più intime. La sentenza d'Appello, però, riporta la testimonianza resa dalla donna in udienza e pare che non abbia manifestato in modo così chiaro e preciso il dissenso.

Il punto della questione è proprio questo: un uomo può toccare una donna solo perché lei non ha detto espressamente di no, o invece deve pensare che per poter porre in essere qualunque comportamento di natura affettiva o sessuale deve avere sempre il consenso?

La norma, sul tema del consenso o dissenso, non dice nulla. La norma descrive come violenza sessuale tutti quei comportamenti che vengono posti in essere con violenza, minaccia o abuso di autorità. Tuttavia, la giurisprudenza l'ha sempre interpretata dando per scontato che comunque alla base deve esserci il consenso. Perché anche se non esercito un'azione violenta, non minaccio e non abuso della mia autorità non posso andare da una persona e toccarla dove voglio dando scontato che questo sia lecito solo perché sono gentile e sorrido. Comunque ci deve essere il consenso.

Si può dare per scontato il consenso in certe situazioni? Altrimenti come deve essere espresso?

La regola fondamentale è che il consenso non si presume. Addirittura non si presume nemmeno nel rapporto di coniugi. Non è che perché sono sposato, allora posso andare da mia moglie e spingermi in pretese di natura sessuale se non c'è il suo consenso. Il solo fatto di essere coniugi non ti dà il diritto di fare quello che vuoi. Sono atti che riguardo la libertà di autodeterminazione delle persone e se l'altra persona non vuole, non si fa. A maggior ragione, se non c'è rapporto di coniugio, convivenza o fidanzamento non si deve presumere il consenso.

Quando non c'è violenza, minaccia o abuso di autorità, non serve il dissenso dichiarato ma è sufficiente la mancanza del consenso. Nel caso in questione, in base alle stesse dichiarazioni fatte in udienza dalla donna, è emerso che la presunta vittima a fronte dei primi toccamenti non ha nei primi 20-30 secondi detto "no, non voglio". Perciò si sarebbe creata una situazione in cui l'imputato avrà pensato: "Visto che sono 20 secondi che le accarezzo la schiena e la sto baciando sul collo, ci sta", e così si sarebbe spinto oltre toccandola nelle parti intime.

Il difensore della parte civile sostiene che la donna non aveva bisogno di dire "no, non voglio", perché quando una donna patisce degli atti sessuali si crea una situazione psicologica di freezing, cioè rimane paralizzata, non realizza nemmeno cosa sta accadendo il più delle volte. Secondo gli avvocati e secondo la Procura, l'imputato avrebbe dovuto essere condannato perché in quelle situazioni è normale che non venga manifestato il dissenso, in quanto la vittima si ritrova scioccata, in una situazione di imbarazzo. Quindi, sostengono, se non ha detto "no" in quei 20-30 secondi non vuol dire che stava accettando.

Nella maggior parte dei casi, questo è vero. Ma dall'altro punto di vita, stando a quanto emerso nel corso del dibattimento, sembrerebbe essersi verificata una situazione in cui il dissenso non è stato manifestato e l'uomo è andato oltre fino a che ha capito che lei non voleva. Il vero problema è che questa norma, per come è formulata, porta a situazioni come questa che sono al limite dell'equivoco e per le quali i giudici hanno deciso di assolvere l'imputato.

Cosa si deve fare quando non si è certi del consenso?

Per quanto mi riguarda, io sono fautore di un'interpretazione più rigorosa della norma perché il consenso non lo puoi presumere, salvo che quella non fosse stata una donna con la quale si era già avviata un qualche tipo di relazione sentimentale. Credo che l'interpretazione debba essere più rigorosa perché il fatto che una donna davanti a me sia paralizzata non deve indurre a pensare che ci sia il consenso, ma anzi ti deve far astenere nel porre in essere il comportamento. L'inerzia di una persona di fronte ad atti sessuali non deve essere considerato consenso. Nel dubbio, ci si deve fermare perché esiste il dolo eventuale. Se non sai se quella persona "ci sta" e vai avanti lo stesso, accetti il rischio che la persona possa non essere d'accordo.

Sul consenso presunto o non presunto, ci deve essere la massima cautela. Se mi approccio a una donna e lei non dice nulla, questo non basta per dire che ci sia consenso da parte sua perché potrebbe essere in forte imbarazzo o scioccata. Se invece le do un bacio e lei mi sorride, mi dà una carezza, allora posso pensare che forse sta nascendo qualcosa. Il punto fondamentale è che la giurisprudenza non richiede il dissenso e, allo stesso modo, il consenso non si deve presumere: ci devono essere elementi concreti importanti che facciano emergere questo consenso anche in forma tacita, altrimenti ci si deve fermare.

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