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Omicidio di Giulia Tramontano

Perché il piano di Impagnatiello per uccidere Giulia Tramontano riflette un narcisismo patologico

Alessandro Impagnatiello ha tentato di avvelenare Giulia Tramontano non solamente per farla franca. Ma per conservare una leggendaria percezione di sé e del potere di disporre a suo piacimento della vita di Giulia e di quella di suo figlio Thiago.
A cura di Anna Vagli
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Spietato. Crudele. Inumano. Alessandro Impagnatiello ha dimostrato di essere sino ad oggi uno dei manifesti più sinistri del narcisismo patologico che uccide. Giulia Tramontano è stata accoltellata a morte sul finire dello scorso maggio. Ma quel che emerge dagli atti dell’inchiesta e dalle ultime indiscrezioni pubblicate dal quotidiano La Repubblica è disumano. Agghiacciante.

L’ex barman dell’Armani avrebbe tentato di avvelenare la compagna mesi prima rispetto al giorno nel quale si è consumato il femminicidio. Lo avrebbe fatto probabilmente diluendo un veleno per topi in una bevanda calda. Giulia aveva scoperto da poco di essere incinta. Circostanze che emergerebbero sia dal rinvenimento di alcune tracce nei tessuti di Giulia della sostanza contenuta nelle bustine rinvenute nell’abitazione sia dalle ricerche del compagno sul computer: “Come uccidere una donna incinta con veleno” e “Come avvelenare un feto”.

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La premeditazione del femminicidio di Giulia Tramontano

Le ricerche sui dispositivi elettronici nella disponibilità dell’uomo confermano dunque esattamente quanto sospettato sin dall’inizio. Manca la relazione finale, così come gli esiti definitivi dei tossicologici. Ma i risultati parziali lasciano poco margine di dubbio.

Alessandro aveva premeditato tutto. Aveva deciso di cancellare per sempre quella che non molto tempo più tardi avrebbe messo al mondo il loro bambino Thiago. Un figlio, il secondo peraltro, che il giovane proprio non voleva perché concepito come un ostacolo alla vita che voleva vivere. Una vita fatta di eccessi e tradimenti. Due erano le relazioni che teneva in piedi ormai da mesi e dalle quali traeva quello che noi addetti ai lavori chiamiamo rifornimento narcisistico.

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Impagnatiello, certamente contraddistinto da un senso smisurato e sovradimensionato di auto importanza, assenza di empatia e da una profonda e totalizzante necessità di ammirazione, ha vissuto tutti suoi legami sentimentali lungo il filo sottile tra la realtà e la sua percezione distorta di essa.

Dopo che questa frattura si è amplificata, con la gravidanza di Giulia e la scoperta da parte di questa dell’esistenza di un’altra donna, la capacità di Alessandro di infliggere dolore ha preso una piega letale. Così, ha maturato nel corso dei mesi la decisione di eliminare entrambi. Giulia e suo figlio.

Peraltro, è bene non dimenticarlo, durante i vari interrogatori l’ex barman non ha mai speso nessuna parola per la creatura che stava per nascere. Questo conferma se possibile ancor di più la sua personalità malevola. In simili termini, è possibile svolgere un ulteriore ragionamento.

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Il femminicidio di Giulia Tramontano e di suo figlio Thiago non è stato solo un atto di ferocia fisica, ma ha rappresentato il riflesso di un’oscurità più profonda. Il culmine di una serie di manipolazioni psicologiche, emozionali e sociali.

Giulia e suo figlio erano diventati solamente un mezzo per soddisfare il suo ego insaziabile, oggetti da distruggere per ribadire ancora una volta la propria superiorità. Questo il motivo per cui, dopo aver consumato il delitto e tentato di occultare il corpo, si è recato dall’altra donna. Difatti, l’assenza di empatia lo ha liberato da qualsiasi sensazione di colpa o rimorso e gli ha permesso di giustificare quanto commesso. Perché solo attraverso il femminicidio è riuscito nell’immediatezza a conservare una leggendaria reputazione di sé stesso.

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 Perché prima di accoltellarla ha tentato di avvelenarla?

Il ricorso al veleno per topi non è stato solamente un espediente di Impagnatiello per cercare di non essere scoperto. E dunque per cercare di restare impunito qualora Giulia fosse morta dopo aver ingerito una sostanza che per definizione, in forza delle sue componenti fisiche e chimiche, è in grado di provocare il decesso. Difatti, dietro questo barbaro e vile tentativo di uccidere ci sono anche dinamiche riconducibili alla sua personalità.

L'avvelenamento è una dimostrazione estrema di potere e autorità del narcisista sulla vittima. L’ex barman, come tutti i soggetti con tali caratteristiche di personalità, credeva di essere in grado di decidere chi doveva vivere e chi invece doveva morire. Con modalità da lui stabilite.

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Ciò gli serviva infatti a rafforzare la percezione di controllo totale sulla vita di quelli che teoricamente avrebbero dovuto essere i suoi affetti. Dunque, Impagnatiello, nella sua visione grandiosa di sé, attraverso l’avvelenamento, ha cercato di esercitare un dominio totale e definitivo su Giulia ed il figlio Thiago. Perché in questo modo avrebbe potuto scegliere quando e come attaccarli. E proprio perché il veleno è spesso invisibile e silenzioso contribuisce al senso di potere del narcisista. Poiché la vittima non è in grado di prevedere o evitare l’aggressione. Giulia in quel frangente era completamente ignara dei tentativi del compagno di ucciderla. Tentativi che di lì a poco sarebbero diventati letali. Seppur con un diverso modus operandi. I mostri esistono.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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