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Perché il detenuto con disturbi psichici che si è suicidato non doveva essere in carcere, secondo Antigone

Giacomo Trimarco è morto suicida nel carcere di San Vittore a 21 anni: il ragazzo, arrestato per il furto di un cellulare, doveva essere trasferito in una Rems, una Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza che hanno sostituiti gli ospedali psichiatrici giudiziari.
A cura di Ilaria Quattrone
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Giacomo Trimarco, 21 anni, soffriva di un disturbo bordeline di personalità a basso funzionamento. Una condizione psichica ritenuta incompatibile con il carcere. Giacomo è morto però in un istituto penitenziario: il 21enne si è tolto infatti la vita a San Vittore, a Milano. Il ragazzo è morto nella serata di ieri, martedì 7 giugno: si è suicidato nella sua cella con del gas. Alcuni giorni prima si era tolto la vita un altro ragazzo, il 24enne Abou El Maati che viveva nella cella vicina.

Giacomo era stato arrestato per il furto di un telefonino

Il 21enne non doveva essere a San Vittore: Giacomo, dopo una serie di piccoli reati e gesti di autolesionismo, era stato arrestato lo scorso agosto per il furto di un telefonino. Finito a San Vittore, a ottobre aveva ottenuto la disposizione di essere trasferito in una Rems, una Residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza che nel 2014 hanno sostituito gli ospedali psichiatrici giudiziari. Nonostante il via libera, il 21enne era ancora a San Vittore: "Queste strutture hanno pochi posti disponibili, sono solo venti: c'è un meccanismo di liste d'attesa perché, a differenza del carcere, non si può entrare in sovra numero – spiega a Fanpage.it la ricercatrice dell'Osservatorio Antigone, Daniela Ronco -. Si può accedere solo quando si libera un posto".

Pochi posti disponibili nelle Rems

Per l'Osservatorio Antigone, il problema maggiore è dato dal fatto che questi soggetti dovrebbero essere seguiti soprattutto esternamente. Una condizione che potrebbe essere resa possibile solo dal potenziamento del sostegno psichiatrico sul territorio: "Questo sicuramente può significare aumento dei posti in Rems, ma a nostro avviso dovrebbe soprattutto significare un incremento delle prese in carico all'esterno. Un potenziamento – continua la dottoressa – che non deve portare al trasferimento del paziente in un'altra struttura chiusa, ma a un rafforzamento di misure alternative che possono essere realizzate attraverso una presa in carica sul territorio da parte di uno psichiatra".

Il carcere ha difficoltà a gestire i problemi psichici

Come in tutti gli altri casi, anche per quello di Giacomo, paziente con doppia diagnosi (psichica e da dipendenza da sostanze) è stato il giudice a richiedere il trasferimento in una Rems: "Molto spesso accade che un soggetto viene inviato in queste strutture perché considerate delle comunità che danno maggiori garanzie in termini di contenimento: si fa riferimento a soggetti che, nella percezione comune, vengono considerati – spiega l'esperta – come un rischio per la società. Il carcere generalmente è una istituzione che è in difficoltà nello gestire il problema psichiatrico". Difficoltà ancora più evidenti per strutture come quella di San Vittore – dove l'ultimo suicidio risale al 2019 e dove sono tre le persone in attesa di essere trasferiti in una Rems – che, in quanto carceri metropolitani, raccolgono un elevato numero di soggetti con problemi psichiatrici: "Disturbi che spesso non sono certificati. Anzi quelli attestati come tali sono veramente la minoranza. Questo è uno dei più grandi problemi della detenzione: in questo modo – precisa Ronco – il carcere diventa un contenitore di emarginazione sociale legata al disagio psichico, al disagio delle dipendenze o ancora legato all'estrema povertà".

La detenzione acuisce il problema psichiatrico

Un insieme quindi di problematiche che fa si che il disagio psichico diventi uno degli aspetti più difficile da gestire all'interno di un istituto penitenziario: "La detenzione è un'esperienza di sofferenza per chiunque e all'interno di un carcere – spiega ancora l'osservatrice – si acuisce un problema psichiatrico". Impossibile inoltre svolgere un lavoro di prevenzione: "Si tratta purtroppo di attimi. Non c'è una carenza di agenti, ma di sostegno psichiatrico e psicologico. Il tema dei suicidi è stato affrontato sotto vari punti di vista: per esempio in termini di controllo. È però impensabile credere che – spiega ancora l'esperta – vi sia la possibilità di sorvegliare a vita tutte le persone. Ci si interroga su come un controllo eccessivo possa contribuire a un peggioramento delle condizioni psichiatriche di un soggetto sottoposto a detenzione. È possibile fare una valutazione del rischio suicidario, ma questa non può dire matematicamente chi commetterà o meno un gesto estremo".

Molti dei soggetti che devono entrare in una Rems arrivano dall'esterno

Bisogna anche considerare che molti dei soggetti che attendono di entrare in una Rems arrivano dall'esterno: "Persone che aspettando di accedervi, ma che non rappresentano un pericolo per la società. In questi casi infatti, i dati sui reati commessi sono pressoché inesistenti. Attenuare un po' l'idea della pericolosità rappresentate da questi soggetti potrebbe essere un’alternativa rispetto alle costruzioni di nuovi Rems". Una possibilità che potrebbe essere consentita – come ribadisce più volto la dottoressa Ronco – dal potenziamento dei servizi territoriali: "In questo modo si  potrebbe rassicurare la magistratura che, nel momento in cui deve disporre un ricovero in Rems, sa che alle spalle vi è un progetto forte".

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