Perché il caso della donna malata di tumore che deve pagare 422 euro per gli esami è (purtroppo) solo uno dei tanti
Una donna residente a Bergamo e malata oncologica ha pagato 422 euro per effettuare quattro visite che lo specialista le aveva chiesto di fare entro il prossimo controllo. La paziente è dovuta ricorrere a una struttura privata perché allo sportello per le prenotazioni le avevano detto che i primi posti disponibili con il sistema sanitario pubblico erano a fine 2025. "È un caso estremamente grave", ha dichiarato il medico, docente universitario e attivista di Medicina Democratica Vittorio Agnoletto a Fanpage.it, "purtroppo però è una storia che si ripete, con segnalazioni che continuano ad arrivare. Prova che le dichiarazioni dell'assessore Guido Bertolaso sono e restano pure dichiarazioni, quando la realtà è completamente diversa".
La vicenda della paziente bergamasca
La vicenda che ha riguardato una paziente bergamasca è stata riportata alcuni giorni fa dal sito della Cgil di Bergamo. In sintesi, l'oncologo che ha in cura la donna le aveva indicato quattro esami diagnostici a cui si sarebbe dovuta sottoporre entro la data del consulto successivo. Si trattava di mammografia, un’ecografia mammaria, un Rx torace e un’ecografia dell’addome completo, tutte con ricetta classe "P", quindi "programmabile" da erogare entro 120 giorni.
Tuttavia, quando ha chiamato per fissare le visite le hanno dato come prime date disponibili fine 2025. Così, la paziente si è trovata costretta a rivolgersi al privato e a pagare 422 euro nonostante sia esente dal ticket.
"Dovrebbe essere l'ospedale a fissare gli esami, ma non accade quasi mai"
Questa storia, secondo Agnoletto, fa emergere due gravi problemi nella sanità pubblica lombarda. Il primo riguarda i canali d'urgenza per le patologie oncologiche che, ricorda il professore, "Regione Lombardia ha sempre detto di voler predisporre". Il secondo è proprio sulla questione prenotazione delle visite.
I pazienti seguiti da specialisti, infatti, dovrebbero avere subito fissata la visita o l'esame indicato dal medico. "Finisce la visita, vengono prescritti gli esami e questi devono essere fissati prima di quella di controllo successiva", spiega Agnoletto, "deve essere la segreteria dello specialista o lo stesso ospedale dove lavora a stabilire la data degli accertamenti, ma questo non accade quasi mai". E così, come successo alla paziente bergamasca, il cittadino si ritrova da solo a cercare un posto dove fare gli esami, sapendo di avere una scadenza indicata dal medico.
Poiché, come in questo caso, per le patologie oncologiche il tempo incide fortemente sulle possibilità di intervenire, il caso diventa ancora più grave. "Che poi è anche una forma di ricatto", sostiene Angoletto, "perché se un cittadino è seguito da uno specialista dentro una struttura e gli dice torna tra sei mesi con questi esami, è chiaro che tendenzialmente vuole rimanere dentro quella struttura. Se poi l'ospedale gli dice ‘no, qui lo può fare solo privatamente entro quei termini', è un modo evidente di spingere il cittadino al privato".
La campagna Lombardia SiCura
Dall'1 marzo scorso, Medicina Democratica, Osservatorio Salute, Arci Lombardia, Cgil, Spi e Fp Lombardia e Acli Lombardia hanno avviato una raccolta firme per la petizione sulla sanità che prende il nome di Lombardia SiCura. Tra i punti inseriti nel testo, c'è anche la richiesta di introdurre la sospensione dell'intramoenia per la struttura pubblica che non riesce a fare gli esami o le visite entro i tempi richiesti dal medico curante o specialista.
"L'intramoenia non è un meccanismo per superare le code", spiega Agnoletto, "ma nasce per i pazienti che vogliono essere visitati o operati da un'equipe specialistica precisa con un medico definito, a un orario scelto e con un trattamento alberghiero di tipo diverso". Deve essere, quindi, un'opzione in più per chi vuole qualcosa in più, ma non un opzione che sostituisce i tempi fisiologici della visita.
Infine, l'altro punto presente nel testo di Lombardia SiCura si concentra alla richiesta della consegna di tutte le agende al centro unico di prenotazione. Che siano strutture pubbliche o private convenzionate, "devono consegnare le loro agende e se si rifiutano deve essere interrotta la convenzione". Secondo Agnoletto, infatti, questo agevolerebbe il cittadino che non può o comunque non vuole rivolgersi al privato.