A Cesano Maderno un ragazzo di 16 anni ha ridotto in fin di vita un suo vicino di casa con una mazza di metallo. Con una violenza feroce, bestiale, ha colpito l’imprenditore, vivo per miracolo, riferendo di essersi "sentito di farlo". Si è accanito su quell’uomo ma lo avrebbe fatto su chiunque altro, "sarebbe stato lo stesso". Parole le sue, che inevitabilmente riportano alle dichiarazioni rese da Moussa Sangre, il giovane assassino reo confesso dell'omicidio di Sharon Verzeni che avrebbe dichiarato di essere uscito, quella sera, con l’intento di uccidere qualcuno. Non una specifica vittima designata quindi, ma qualcuno con cui portare a termine il suo intento omicidiario. Qualcuno da uccidere nella realtà, come si era allenato a fare con un fantoccio di cartone che è stato rinvenuto nella sua abitazione, nel quale sarebbero stati ancora conficcati dei coltelli. Una lucida premeditazione ed una preparazione per il raggiungimento di uno scopo predefinito come nel caso del diciassettenne che ha confessato di aver ucciso Maria Campai, 42 anni, dopo aver cercato on line “tecniche per uccidere una persona a mani nude”.
Il ragazzo di 16 anni che ha ridotto in fin di vita l’imprenditore di 60 anni viene descritto, da chi lo conosceva, come un soggetto intrattabile ed irascibile, che ultimamente aveva seri problemi nella gestione dei propri impulsi. Sembra infatti avesse posto in essere agiti aggressivi sia nel contesto scolastico, che da un po' non frequentava più, che in quello familiare. Condotte per le quali la sua gestione era divenuta complicata, tanto che oggi i condomini non sembrano per nulla sorpresi di quanto accaduto e dichiarano, anzi, che quell’aggressione avrebbe potuto subirla ognuno di loro. Una disregolazione emotiva, con difficoltà nel controllo degli impulsi aggressivi acuite forse anche dall’uso di sostanze che si sono tradotte nel "bisogno" di fare del male, di sfogare su qualcuno (chiunque) quella quota inespressa e crescente di rabbia. Per provare come ci si sentiva dopo, per verificare se dopo, forse, si poteva stare meglio.
Un progressivo isolamento sociale, associato a condotte di tipo antisociale, ad un'escalation di agiti violenti fino all'omicidio, come nel caso di Sharon Verzeni. Ad un omicidio che non è stato tale solo per un caso fortuito a Cesano Maderno. Due situazioni che sembrano legate dalla volontà di chi le ha poste in essere di violare le norme sociali, in maniera crescente, con agiti che sono di volta in volta più gravi, più violenti. La rabbia inespressa sembra essere stato il motore che ha attivato anche il diciassettenne che ha ucciso Maria. Una rabbia che è diventata odio contro tutti, contro quelli che lui stesso sui social definiva "parassiti" ed in particolar modo contro le donne. I suoi post, accessibili a chiunque, sono un inno perenne all'odio: "brucio ogni parassita", "supponiamo che il lupo perda il pelo ma non il vizio di picchiare le donne" e molto altro ancora, oltre ad inneggiare Filippo Turetta, a sceglierlo come alter ego nei giochi social, in sfide il cui oggetto era "massacrare Giulia Cecchettin", ad utilizzarlo come meme per esprimere i suoi messaggi di odio e violenza. L’identificazione con Filippo Turetta che ha ucciso la sua ex ragazza, il paragone con Brian Moser, un serial killer che uccideva prostitute per soddisfare un bisogno di appartenenza che a quell’età ha un valore identitario, a fronte dell’impossibilità di sentirsi inserito in un contesto sociale dal quale si era progressivamente isolato.
L’odio canalizzato contro gli altri, contro le donne in particolare, contro le prostitute ancora più specificatamente, ed ecco che in questo caso la scelta della vittima è stata centrale e la preordinazione dell'azione dettagliata. L’esigenza di definizione identitaria nel periodo adolescenziale diventa fondamentale per la propria sussistenza e porta a vedere negli altri, nella società, in coloro nei quali non riesco a rispecchiarmi e dai quali non mi sento riconosciuto, come un ostacolo da eliminare. Sembra essere stato lo stesso processo di pensiero che aveva armato la mano del diciassettenne che a Paderno Dugnano ha sterminato tutta la sua famiglia, che percepiva come opprimente, proprio per poter essere come voleva. Giovani uomini che arrivano a compiere azioni terribili con fredda e lucida preordinazione in situazioni che sottendono funzionamenti e problematiche differenti ma che probabilmente potevano essere intercettate ed evitate.
Si tratta ovviamente di casi limite, alla cui base si celano problematiche di natura differenti che sono rimaste inespresse o non accolte. Di certo, va detto, dovremmo dedicare agli adolescenti uno spazio e un tempo in cui raccontarsi e nel quale si sentano in diritto e nella possibilità di portare le loro vulnerabilità, senza che questo corrisponda ad un etichettamento e all’esclusione da quei contesti che per loro risultano determinanti ai fini di una sana strutturazione del sé. Prima ancora sarebbe fondamentale educare tutti e tutte all’affettività, allenando cioè la loro capacità di riconoscere, nominare e veicolare in modo corretto le proprie emozioni. Tutte le emozioni, compresa la rabbia, che pur sempre ci appartengono. Prassi queste che non ci avrebbero, con certezza garantito di prevenire situazioni come quelle di cui ci stiamo occupando ma che inevitabilmente ci chiamano in causa come adulti e come società.