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Perché il caporalato è diffuso nella produzione di borse e non di vestiti firmati Armani e Dior

Le borse di Alviero Martini, Dior e Armani venivano prodotte a basso costo da “lavoratori sfruttati”, secondo le indagini dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Milano. Ma perché lo sfruttamento avveniva negli opifici che producono solo borse e non anche maglioni, pantaloni o altri vestiti?
A cura di Giorgia Venturini
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Borse e altri accessori. E ancora borse e ancora accessori. Tutti firmati Alviero Martini, Dior e Armani. È quello che producevano i lavoratori di alcuni opifici cinesi, vittime di caporalato: lo hanno rivelato i carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Milano accertando, al termine dei loro sopralluoghi, che nei laboratori da loro controllati avveniva "lo sfruttamento di manodopera irregolare e clandestina, il transito, in molti casi, dei lavoratori irregolari da un opificio all'altro e la presenza dello stesso committente della produzione in sub appalto", come spiegano gli atti del Tribunale. Alla fine i titolari di questi opifici sono finiti nel registro degli indagati per caporalato, mentre le società responsabili della produzione dei tre marchi della moda di lusso sono finite in amministrazione giudiziaria. Ma perché lo sfruttamento avveniva negli opifici che producono solo borse e non anche maglioni, pantaloni o altri vestiti?

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Perché il caporalato è emerso solo dietro la produzione di borse

Stando a quanto emerso da fonti Fanpage.it, sarebbe più facile accertare sfruttamento e caporalato dietro alla produzione di borse che non dietro a quella di capi di abbigliamento come maglie e pantaloni. Perché? Semplicemente perché produrre borse richiede molta più lavorazione: sono necessarie più ore di lavoro e più macchinari. E abbattere i costi, sia di produzione che di lavoro, resta una delle priorità: al chiaro scopo "di abbattere i costi del lavoro, vengono completamente evase le imposte dirette relative al costo dipendenti, come contributi e assicurazione infortuni. Inoltre sono stati completamente omessi tutti i costi relativi alla sicurezza", come spiegano gli atti del Tribunale di Milano che hanno posto in amministrazione giudiziaria la Manufactures Dior srl.

Situazioni simili avvenivano anche nei laboratori di aziende subappaltratici in alcuni casi non autorizzate: nei capannoni sono presenti macchinari più complessi e necessari per la produzione di accessori come le borse che richiedono appunto molto più lavoro di un semplice capo di abbigliamento. Basti pensare (questo non è emerso nelle tre inchieste dei carabinieri) che una maglia potrebbe essere anche cucita all'interno di un qualsiasi appartamento e quindi trovare questo tipo di business illegale diventa complicato, così come accertare un possibile caporalato.

Come funziona il mercato delle borse di Dior e Armani

Quando si parla però di moda è bene tenere in considerazione anche come funziona il business in questo settore. Il fatturato di brand di lusso come Dior dipende in gran parte dagli accessori: borse, cinture e scarpe sono sicuramente tra le merci più vendute al grande pubblico, che magari non acquista l'intero guardaroba del brand ma farebbe follie anche solo per acquistare una borsa griffata. Questa è una fetta di mercato a cui questi brand non possono e non vogliono rinunciare. Di conseguenza le case di moda hanno bisogno di grandi quantità e questo richiede un abbattimento di costi. Dior – come spiegano gli atti del Tribunale – paga 56 euro, la stessa poi veniva venduta nelle vetrine dei negozi di lusso a 2.600 euro. E proprio questi prodotti vengono prodotti negli opifici cinesi finiti nell'inchiesta dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Milano. Va precisato però che nel prezzo retail di una borsa di un qualsiasi marchio di lusso è incluso non solo il costo di produzione ma anche tutta una serie di voci che incidono significativamente sul costo finale, tra questi testimonial, campagne pubblicitarie, sfilate ed eventi più tutti i costi legati alla rete delle vendite e alle boutique monomarca sparse per il mondo.

Anche Armani è entrato nell'occhio del ciclone, finendo come Dior nell'inchiesta sugli accessori di lusso. Sempre secondo il Tribunale una borsa Armani viene venduta a 1.800 euro e prodotta negli opifici cinesi per 93 euro. Il costo finale segnalato nelle carte, che si aggira intorno ai duemila euro, ci fa credere che si tratti di borse Giorgio Armani ovvero della prima linea della griffe, dato che facendo un veloci giro sul sito del marchio Emporio, seconda linea di Armani, la borsa più cara ha un costo che si aggira intorno ai 600 euro.

La specifica è importante data la differenza tra i marchi chiamati in causa: Dior è un marchio che dialoga solo con il mondo del lusso, avendo solo la prima linea di prêt-à-porter e una di haute couture. Armani, invece, vanta 5 linee diverse di abbigliamento e accessori (conta bene quante sono) si va infatti da Armani Privé, la linea couture, fino alla linea Exhchage, una delle più economiche e commerciali. Il problema sta proprio nel fatto che non sono solo i prodotti delle linee più basse ad essere prodotte da opifici cinesi ma nel fatto che sono anche le borse della prima linea a griffe Giorgio Armani ad essere finite nelle carte dell'inchiesta.

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Perché il caporalato è stato scoperto solo in alcuni opifici lombardi

Le tre inchieste dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Milano, coordinati dal pubblico ministero Paolo Storari, hanno svelato cosa accadeva in alcuni opifici nel Milanese e in Brianza. Ma no, la produzione delle borse di questi grandi marchi di moda non avviene solo in Lombardia – dove però è presente la sede delle aziende di produzione legate direttamente ai marchi di moda – ma anche in altre parti del territorio italiano. Come riporta una fonte a Fanpage.it, per questo è necessario un anno di amministrazione giudiziaria: le aziende responsabili della produzione di borse e accessori di Alviero Martini, Armani e Dior dovranno assicurarsi che non avvengano più condizioni di sfruttamento e dovranno effettuare i controlli su tutti i fornitori. E il numero di fornitori è di gran lunga maggiore di quelli fino ad ora controllati. Durante l'anno di amministrazione giudiziaria verranno inoltre tenute delle udienze per capire come si sta procedendo per abbattere una volta per tutte l'ombra del caporalato. Intanto continua il procedimento penale per i titolari degli opifici finiti sotto indagine: dovranno difendersi dall'accusa di sfruttamento.

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