Perché Gianluca Loprete dopo aver ucciso e fatto a pezzi il padre ha scelto di non parlare più
Da domenica 12 giugno, Gianluca Loprete è chiuso nel suo silenzio: non una parola, nulla. Solo – a detta di quello che prima era il suo avvocato, Fabio Gaetano Scotti (il caso adesso è passato al collega Mauro Straini) – qualche monosillabo.
Il 19enne proprio da domenica si trova in carcere. È accusato di aver ucciso e fatto a pezzi il padre 57enne, Antonio, nel loro appartamento a Sesto San Giovanni (Milano).
Ad avallare questa tesi, la sua confessione: è stato Gianluca a chiamare i carabinieri e dire di aver fatto una cazzata, di aver commesso un omicidio. Da quel momento, il 19enne non ha più rivelato nulla.
Non ha spiegato la dinamica e non ha dato un movente: "In questo momento, il ragazzo sta presentando un sintomo chiaro che è quello del mutismo traumatico", spiega a Fanpage.it la psicoterapeuta Debora Gatto.
Dottoressa, come spiegherebbe quanto accaduto a Sesto San Giovanni?
Ci sono vari aspetti da tenere in considerazione. Prima di tutto, si parla di disturbi psichiatrici quando si ha un'alterazione patologica che va a colpire le funzioni cognitive, la sfera affettiva e poi anche il comportamento e il rapporto con gli altri.
Nel suo caso bisogna tenere in considerazione la storia familiare: una storia caratterizzata da disturbi psichiatrici. Il padre soffriva di depressione e il nonno paterno, ex poliziotto, si è suicidato. C'è quindi un'ereditarietà o meglio un consistente fattore di rischio che è costituito dalla vulnerabilità biologica.
A questo si aggiungono anche i fattori ambientali: avere in casa una persona con una forte depressione comporta vivere in un ambiente stressante. È stato poi riferito che il ragazzo facesse uso di sostanze stupefacenti e anche questo va rientrare nei disturbi mentali da Dsm-5 che è il nostro manuale diagnostico.
Come bisogna interpretare il silenzio di Gianluca Loprete?
Bisogna fare una precisazione: una persona in preda a un raptus omicida – che potrebbe essere anche indotto da sostanze psico-attivanti – può non essere consapevole di quello che sta facendo.
Per questo motivo, in diritto penale si considera quel momento come una incapacità momentanea di intendere e di volere.
Quando la persona torna in sé, fa fatica a credere a quello che è successo. Entra quindi in crisi con se stessa. In questo momento, il ragazzo sta manifestando un sintomo chiaro: il mutismo traumatico.
Che cosa si intende per mutismo traumatico?
Parliamo di una diretta conseguenza a un evento stressante molto grave. Un evento che il ragazzo non ha ancora elaborato.
Questo mutismo può farci pensare che si stia manifestando un disturbo da stress post traumatico e cioè una patologia che si manifesta a seguito di un gravissimo evento di cui o siamo diretti osservatori o protagonisti.
In questo nostro caso specifico, il soggetto presenta la volontà di voler evitare in maniera persistente degli stimoli che sono associati all'evento. È come se non volesse affrontarlo: come se volesse evitare di ricordare episodi spiacevoli o strettamente associati all'evento traumatico.
Ecco, il mutismo è un meccanismo anche difensivo, un'esperienza dissociativa che una persona mette in atto per difendersi il proprio sé.
La sua quindi è una tranquillità apparente?
In questo momento la persona ha una percezione completamente distorta di ciò che la circonda e un senso di separazione da se stessa e dalle proprie emozioni.
Oltre a questi sintomi dissociativi, possiamo parlare di una de-personalizzazione: significa che ci si sente distaccati da se stessi e quindi dai propri processi mentali e a volte anche dal proprio corpo.
In questo momento quindi – considerato che sembrerebbe affrontare dei sintomi da disturbo post traumatico – è necessario che, attraverso l'aiuto di un terapeuta, lo si porti a ricostruire con i suoi tempi la vicenda.