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Perché Giacomo Bozzoli non si trovava in carcere dopo la condanna all’ergastolo e ora è in fuga

La Cassazione ha confermato in via definitiva la condanna all’ergastolo di Giacomo Bozzoli, ma quando i carabinieri sono andati a prelevarlo per portarlo in carcere non era in casa. L’avvocato Daniele Bocciolini ha spiegato in un’intervista a Fanpage.it perché il 39enne era ancora libero nonostante fosse stato condannato anche nei primi due gradi di giudizio.
Intervista a Daniele Bocciolini
Avvocato penalista
A cura di Enrico Spaccini
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Mario Bozzoli (a sinistra) e Giacomo Bozzoli (a destra)
Mario Bozzoli (a sinistra) e Giacomo Bozzoli (a destra)

Giacomo Bozzoli è stato condannato in via definitiva all'ergastolo per l'omicidio dello zio Mario avvenuto l'8 ottobre 2015. Quando nella giornata di ieri, 1 luglio, i carabinieri si sono presentati nella sua residenza a Soiano del Garda (Brescia) dopo la lettura del dispositivo per portarlo in carcere, il 39enne, sua moglie e il loro figlio non erano in casa. Nei nove anni trascorsi dall'omicidio dell'imprenditore 52enne, Giacomo Bozzoli era sempre rimasto in libertà. Considerata la sua fuga, ora ci si chiede come mai per il 39enne, che di fatto era l'unico imputato in questo processo ed era stato condannato in primo e secondo grado, i giudici non abbiano disposto misure di custodia cautelare. L'avvocato Daniele Bocciolini spiega a Fanpage.it perché il 39enne è stato sempre libero e cosa rischia ora con la fuga.

Daniele Bocciolini (foto da Instagram)
Daniele Bocciolini (foto da Instagram)

Perché Giacomo Bozzoli era libero nonostante fosse l'unico imputato e fosse stato già condannato nei primi due gradi all'ergastolo?

Dalle indagini preliminari all'appello, fino al terzo grado di giudizio in Cassazione, Giacomo Bozzoli è sempre stato libero: in nessuna fase è mai stata applicata alcuna misura cautelare nei suoi confronti.

Come è noto, nel nostro ordinamento l’ordine di carcerazione viene eseguito solo dopo che la sentenza di condanna è passata in giudicato ovvero dopo il terzo grado di giudizio.

Nelle fasi che precedono la sentenza definitiva, può essere applicata una misura cautelare se sussistono i gravi indizi e soprattutto se emergono le cosiddette “esigenze cautelari”, che sono: pericolo di inquinamento delle prove, pericolo di reiterazione del reato e pericolo di fuga.

La custodia cautelare in carcere viene poi applicata solo se si ritiene assolutamente necessaria, come “extrema ratio”. La misura cautelare non è applicata, quindi, in tutti i casi in ragione della gravità della contestazione, ma solo ed esclusivamente se vi è motivo per contenere un rischio.

In questo caso, si è trattato di un processo esclusivamente indiziario e il rischio di un “inquinamento probatorio” era pressoché impossibile. Se è vero che, come sostenuto nella requisitoria dal Procuratore Generale, "la prova indiziaria è prova a tutti gli effetti, non è una prova di serie B" ed è una prova valida anche nei processi senza cadavere, qui non vi erano “prove” da poter inquinare, anche volendo.

La misura cautelare non è stata applicata anche perché non si è ritenuto sussistente il pericolo di reiterazione del reato. Secondo la ricostruzione effettuata nelle motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado, il movente dell’omicidio era specifico, un odio nei confronti della vittima. A spingerlo al delitto sarebbe stato un movente di tipo economico ma anche personale: secondo quanto emerso erano continui i dissidi, in particolare lo zio non vedeva di buon grado la gestione dell’azienda da parte del nipote.

Viste come sono andate le cose, non ci si poteva aspettare che sussistesse il pericolo di fuga?

Probabilmente, secondo i giudici, alla luce della condotta che Bozzoli ha mantenuto in questi anni, della sua personalità e per il fatto che abbia continuato a svolgere regolarmente le sue attività e le sue abitudini di vita, non si è mai paventato un pericolo di fuga. Appare chiaro, valutando questa vicenda ex post, che in questo caso, pur non essendo elementi indicativi in tal senso, il pericolo di fuga era invece reale e concreto.

Cosa succede ora?

Bozzoli è stato condannato all’ergastolo e la condanna risulta definitiva essendoci stata la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, che ha confermato la sentenza di appello. Ora è ricercato su tutto il territorio nazionale e non solo: l’ordine di esecuzione della sua condanna è stato inserito in tutte le banche dati italiane ed europee.

Non è escluso che Bozzoli si sia sottratto solo momentaneamente all’ordine di esecuzione per poi costituirsi spontaneamente in carcere. Se non dovesse farlo o non dovesse essere trovato nelle prossime ore, si procederà alla cosiddetta “dichiarazione di latitanza”.

Quindi Giacomo Bozzoli può essere considerato un latitante? E cosa rischia ora?

Secondo il nostro ordinamento è latitante colui che si sottrae volontariamente all’ordine con il quale si dispone la carcerazione. La dichiarazione di latitanza è un provvedimento che deve essere emesso, con decreto motivato dell’Autorità Giudiziaria, una volta che la persona nei cui confronti il provvedimento sia stato disposto non venga rintracciata a seguito di ricerche degli agenti.

Lo status di latitante viene dichiarato sulla base del verbale di vane ricerche redatto dalla polizia giudiziaria, in seguito della mancata esecuzione dell’ordinanza che dispone la misura cautelare o dell’ordine di carcerazione.

Il latitante è equiparato all'evaso, il che vuol dire che configura nel reato di evasione che è punito con la reclusione da 1 a 3 anni. La latitanza è in sostanza una circostanza aggravante: la pena è più grave perché si ritiene ancora più pericoloso un soggetto che si ribella al potere coercitivo dello Stato.

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