Perché è stato chiuso e riaperto l’ospedale di Alzano: cosa emerge dall’inchiesta sul Covid a Bergamo
La notte del 23 febbraio 2020, il Pronto Soccorso dell'ospedale di Alzano Lombardo (Bergamo) è stato chiuso e riaperto dopo la scoperta di un paziente positivo al Covid-19. Questa decisione è al centro delle indagini della Procura di Bergamo, che ha messo sotto indagine 19 persone, sulla gestione della prima fase di pandemia. Così come ricostruito dagli inquirenti, le disposizioni relative alla chiusura e successiva riapertura, sarebbero state date oralmente e per via telefonica.
Il 22 febbraio è stato scoperto che due pazienti ricoverati ad Alzano erano positivi al Covid, ma probabilmente lo erano già al momento del loro accesso in struttura. E infatti sembrerebbe essere certo che il virus abbia iniziato a circolare in struttura già prima che venisse rilevata la loro positività.
In una relazione, inviata il 5 aprile a Regione dal direttore generale di Asst Bergamo, si legge che nel "periodo compreso fra il 13 febbraio ed il 22 febbraio sono giunti presso l'ospedale di Alzano alcuni pazienti che transitavano dal Pronto Soccorso e venivano successivamente ricoverati presso il reparto di medicina generale con diagnosi di accettazione polmonite/insufficienza respiratoria acuta".
Perché ai due pazienti positivi di Alzano non è stato fatto subito il tampone
Perché nessuno di loro è stato sottoposto a tampone? Perché, così come spiegato da diversi dirigenti di Ats, Asst o direzione al Welfare agli inquirenti, le caratteristiche dei pazienti non corrispondevano a quelle evidenziate in una circolare del ministero della Salute del 27 gennaio 2020.
Solo il 22 febbraio, considerato che il focolaio nel Lodigiano assumeva tratti completamente diversi da quelli evidenziati nella circolare, si sarebbe arrivati a comprendere che il criterio epidemiologico evidenziato proprio in quel documento del ministero non era più attendibile. Ed è in quel momento che anche all'ospedale di Alzano sarebbero stati effettuati i primi tamponi.
La chiusura del pronto soccorso
Non appena scoperta la positività dei due pazienti, veniva limitato l'arrivo dei trasporti al pronto soccorso di Alzano per circa due ore e si decideva di non procedere con i cambi turni del personale. Nel frattempo, Locati si confrontava con Regione su come procedere fino a decidere di riaprire il pronto soccorso perché non era possibile "rinunciare a tale punto assistenziale". Alcune attività sono state invece spostate all'ospedale di Seriate.
A sostenere la proposta di chiudere il pronto soccorso, è stato l'ex direttore medico di Alzano Marzulli che ha raccontato di volerlo perché "in quel momento era l'unica decisione giusta che andava assunta per fronteggiare un'emergenza con la quale non ci eravamo mai confrontati. Era una misura cautelativa in attesa delle decisioni a seguito della riunione dell'unità di crisi".
Il direttore sanitario dell'Ats di Bergamo, rispondendo alle domande degli inquirenti, ha raccontato che il 23 febbraio avrebbe ricevuto una telefonata da Locati che avrebbe raccontato della scoperta di pazienti Covid e avrebbe riferito la proposta di chiudere il pronto soccorso "in attesa di ricevere disposizioni da parte di Regione Lombardia. Io ho concordato con lui che, a mio parere fosse corretto, nel frangente, chiudere il pronto soccorso".
La chiusura è stata condivisa con l'unità di crisi di Regione Lombardia: "Noi come direzione sanitaria non avevamo il potere di chiudere il presidio ospedaliero, ma solo di sospenderne temporaneamente l’attività. Abbiamo prospettato alla Regione la temporanea chiusura del pronto soccorso e la temporanea limitazione dell’accesso nei reparti. La Regione ci ha risposto che andava bene la nostra proposta di chiusura, intesa come temporanea sospensione dei ricoveri in elezione e degli accessi dei visitatori", ha raccontato il direttore sanitario di Asst Bergamo Est agli inquirenti.
Qualche ora dopo la situazione infatti è stata ribaltata: Regione avrebbe dato indicazione di riaprire il pronto soccorso.
Perché sarebbe stato riaperto
Alcuni componenti l'Unità di Crisi di Regione Lombardia hanno spiegato che "per Alzano abbiamo adottato una diversa soluzione in quanto avevamo ricevuto positività anche in altri ospedali e quindi non aveva senso chiudere ospedali. Tra l’altro la chiusura di Alzano avrebbe comportato il trasferimento di pazienti sospetti positivi da questa strutture ad altre".
E ancora: "La chiusura dell’ospedale di Alzano non avrebbe comportato nessun beneficio, anzi avrebbe determinato delle criticità nell’accoglienza dei pazienti dal territorio”.
Marzulli provò a opporsi, ma gli venne detto “che non era il momento per assumere decisioni dirompenti che avrebbero creato allarmismi nell’opinione pubblica”.
Dal canto suo, Locati ha spiegato che gli sarebbe stato detto che "se fosse rimasto chiuso il presidio ospedaliero di Alzano, si sarebbe potuto creare una sorta di ‘effetto domino‘ ossia anche altri ospedali lombardi, pure interessati da pazienti covid, avrebbero potuto chiudere, con conseguenti effetti pregiudizievoli su tutto il sistema sanitario regionale".
La questione dispositivi di protezione individuale
Alcuni parenti delle vittime Covid hanno raccontato ai magistrati come, soprattutto il giorno in cui vennero scoperti i primi due positivi, il personale non avrebbe avuto mascherine o altri dispositivi di protezione individuale. Dichiarazioni smentite poi nella relazione inviata a Regione. Locati infatti ha spiegato che ci sarebbe stata una quantità di tamponi "sufficienti per gestire l’emergenza, anche per gli accessi al pronto soccorso".
Eppure Marzulli e altri medici hanno raccontato una versione diversa: l'ospedale, nonostante la disposizione che ai tamponi ci avrebbe pensato Aria (la controllata di Regione), non fu mai adeguatamente fornito di tamponi. "Arrivavano in modo estremamente ridotto per le esigenze dell'ospedale di Alzano. Nella misura di 7/8 al giorno che dovevano servire sia per i dipendenti che per i pazienti".
La sanificazione subito dopo la scoperta dei primi casi positivi Covid
Due dipendenti avrebbero raccontato che la sera del 23 febbraio avrebbero telefonato alla loro titolare affermando che non le stavano facendo uscire dall'ospedale per precauzione. Il 23 febbraio pomeriggio sarebbero state risanate una o due stanze del pronto soccorso: “Il 23 febbraio i percorsi degli infetti non sono stati sanificati”.
Il 24 febbraio sarebbero stati risanati solo il locale dove venivano effettuati i tamponi, il reparto di chirurgia dove c'era un paziente Covid, la sala operatoria di chirurgia e l'area delle sale parto.
Nella relazione viene precisato che le procedure di sanificazione degli ambienti siano avvenute secondo i protocolli esistenti: eppure in molti, sentiti dai pubblici ministeri, avrebbero affermato che non sarebbero stati sanificati tutti gli ambienti.
Insomma le dichiarazioni fornite in durante gli interrogatori sono contrastanti: per questo motivo è stata ritenuta essenziale la relazione realizzata dal microbiologo Andrea Crisanti, il quale ha sostenuto come il virus fosse già presente in ospedale dai primi di febbraio e che se fosse stata istituita fin da subito la zona rossa ad Alzano e Nembro sarebbero stati evitati quattromila morti.