Perché è possibile contestare il reato di tortura ai vigili che hanno picchiato la donna a Milano
Mercoledì scorso una donna è stata picchiata da quattro agenti della polizia locale di Milano: un episodio gravissimo che ha sollevato l'indignazione di alcuni esponenti politici e associazioni. La vittima, assistita dall'avvocata Debora Piazza, ha deciso di denunciare i poliziotti per lesioni aggravate dall'abuso della pubblica funzione e dalla discriminazione, tortura e minacce gravi.
Nella querela è stata inserita l'aggravante prevista dell'articolo 604 ter del codice penale che punisce i reati commessi con le finalità "di discriminazione etnica, razziale e religiosa". Per la legale il reato di tortura sarebbe ravvisabile perché dopo il pestaggio, la donna sarebbe stata tenuta chiusa dentro l'auto "almeno venti minuti".
"Sulla base dei racconti forniti fino a questo momento, è possibile che si configuri il reato di tortura doppiamente aggravato dal fatto che sia stato commesso da pubblici ufficiali e dalla possibilità che ci possa essere una discriminazione. Ovviamente queste aggravanti vanno provate oltre che ricostruite", a dirlo in un'intervista a Fanpage.it è Antonio Marchesi, docente di diritto internazionale all'Università di Teramo ed ex presidente di Amnesty International Italia per la quale ha portato avanti la campagna per l'introduzione del reato di tortura.
In quali casi si configura il reato di tortura e come differisce da quello di lesioni?
La nozione di tortura, che è accolta internazionalmente, consiste in atti finalizzati a provocare una sofferenza sia fisica che psichica molto grave per una serie di scopi che possono andare dal volere ottenere informazioni al voler semplicemente intimidire o punire qualcuno.
Questo reato è stato introdotto in Italia solo nel 2017 e in attuazione a obblighi internazionali che impongono a tutti gli Stati, che hanno firmato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, di prevedere un reato specifico che abbia pene adeguate alla gravità dell'atto.
La definizione italiana è piuttosto lunga e contorta perché è frutto di un compromesso a cui si è arrivati solo dopo decenni di dibattiti parlamentari. La definizione italiana ha inoltre alcuni punti di attrito con quella internazionale, però si tende a interpretare quella del codice penale italiana in maniera che sia la più conforme possibile a quella internazionale.
Nel senso che la nozione italiana fa riferimento a una pluralità di condotte che invece non ci sono in quella internazionale: per esempio, l'inflazione di dolore o sofferenza psichica che è limitata al caso in cui vi sia un trauma verificabile. Ci sono quindi elementi che preoccupano un po'. Allo stesso tempo possiamo dire che questi elementi riguardano più la formula legislativa. Nell'interpretazione dei giudici le definizioni più o meno si equivalgono.
Su alcuni concetti la legislazione italiana è più ampia rispetto a quella internazionale. Il concetto di tortura, in Italia, non è limitato solo alla cosiddetta "tortura di Stato" e cioè all'abuso di potere, ma è l'inflazione di sofferenze che può avvenire anche tra i privati: c'è stato per esempio un caso di badante condannata per tortura nei confronti di una persona di cui si occupava.
L'ipotesi classica di tortura così come concepita a livello internazionale, nella legislazione italiana viene considerato come reato di tortura aggravata dal fatto che a commetterlo siano pubblici ufficiali che possono essere sia agenti di polizia che agenti della Locale come nel caso di Milano: possiamo definirla come una forma di aggravamento di reato di tortura ordinaria.
Nel caso specifico di Milano potrebbe esserci un'ulteriore aggravante che è quella della discriminazione razziale. Questa aggravante ovviamente è prevista per tutti i reati, non solo per la tortura. È riconosciuta nel caso in cui vi sia un elemento di discriminazione nei confronti di una persona.
Per l'episodio di Milano può configurarsi il reato di tortura?
Questo lo diranno i giudici in via definitiva. La valutazione va fatta sulla base di accertamenti, però sulla base di come sono stati raccontati i fatti è possibile che si tratti di una tortura doppiamente aggravata perché commessa da pubblici ufficiali e, se sarà provato, perché c'è discriminazione. Ovviamente sono tutte cose vanno ricostruite e provate.
Finora la giurisprudenza, come si è espressa sul reato di tortura da parte delle forze dell'ordine?
Dal 2017 ci sono stati diversi processi per tortura e condanne. Non è un reato che una volta introdotto è rimasto lettera morta, al contrario è risultato molto utile per esempio in tutte le questioni che hanno riguardato abusi da parte della polizia penitenziaria. Ci sono stati casi a Torino, a San Gimignano e quello più famoso è quello di Santa Maria Capua Vetere.
Non è un reato generico come il furto, per cui i numeri sono più bassi però è risultato molto rilevante e importante. E del resto prima del 2017 – quando il reato di tortura non c’era – molti casi sono rimasti sostanzialmente impuniti, compresi i fatti di Genova del 2001.
Ci sono state tante vicende in cui la tortura in Italia c’è stata, è stata accertata e non è stata punita perché all’epoca mancava il reato.
Il partito Fratelli d'Italia ha proposto l'abolizione del reato di tortura, secondo lei un'abolizione potrebbe essere pericolosa?
Questa proposta è sbagliata e si basa su motivazioni che un tempo venivano utilizzate per richiedere di non introdurre il reato di tortura: all’epoca, per fortuna, la maggioranza non ha condiviso queste motivazioni. Quelle motivazioni sono identiche a quelle che oggi portano a dire che non abbiamo bisogno di avere il reato di tortura perché in Italia nessuno tortura nessuno e perché è uno strumento che finisce per criminalizzare ingiustamente le forze di polizia.
Questi però non sono argomenti validi perché comunque ci sono processi che dimostrano fatti: se si è innocenti non si viene condannati.
Fratelli d'Italia ha presentato una proposta di legge. È stata poi presentata un'interrogazione parlamentare, alla quale ha risposto il ministro Carlo Nordio che ha affermato di non voler assolutamente abolire il reato, ma che dovevano essere rivisti solo alcuni aspetti della definizione di reato di tortura.
Il problema è che se si apre la discussione sulla definizioni, dopo che ci sono voluti quasi trent'anni per introdurre questo reato, c'è il rischio di minare al punto di equilibrio che è stato trovato dopo tanto tempo. Quello che ha detto il ministro ci tranquillizza, ma se si legge il disegno di legge proposto da Fratelli d'Italia è possibile capire che c'è proprio una volontà di abolire questo reato e non di aggiustare alcuni aspetti. E questo, secondo me, è molto dannoso.