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Perché Alessia Pifferi è capace di intendere e volere secondo l’accusa: cosa dice la relazione dei consulenti

I pubblici ministeri Francesco De Tommasi e Rosaria Stagnaro hanno depositato la ‘Relazione psichiatrico forense e psicologico forense’, firmata dai consulenti della Procura di Milano Marco Lagazzi e Alice Natoli, su Alessia Pifferi: l’accusa smonta i risultati dei precedenti test sulla donna.
A cura di Giorgia Venturini
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Durante la udienza di ieri martedì 10 ottobre sul processo ad Alessia Pifferi, la donna accusata di aver abbandonato per sei giorni da sola in casa la figlia di 18 mesi procurandole la morte per stenti, i giudici della Corte d'Assise di Milano hanno disposto una perizia psichiatrica sulla detenuta. Al centro della discussione giudiziaria infatti c'è da chiarire quanto la donna era in grado di capire quello che stava accadendo.

Intanto sempre nella mattinata di ieri i pubblici ministeri Francesco De Tommasi e Rosaria Stagnaro hanno depositato la ‘Relazione psichiatrico forense e psicologico forense', firmata dai consulenti della Procura di Milano Marco Lagazzi e Alice Natoli: nella relazione gli esperti hanno analizzato i test e i colloqui condotti su Alessia Pifferi al carcere di San Vittore da personale sanitario del carcere e dal consulente della difesa della donna, Marco Garbarini. Il profilo tracciato da questi test è quello di una persona con una disabilità Cognitiva di livello medio, paragonabili a quello di un bambino tra i 6 e i 9 anni.

La relazione della Procura smonta le analisi sulla Pifferi fatte finora: "La persona – si legge nella relazione della Procura – che si vuole qualificare come gravemente carente, tanto da avere bisogno di assistenza quotidiana e da non sapersi esprimere, era in grado di vivere da sola, aveva conseguito un diploma di licenza media inferiore ed ha interrotto gli studi al secondo anno della scuola superiore per occuparsi della madre in seguito ad un grave incidente subito da quest’ultima".

E ancora: "Ha avuto relazioni di amicizia e affettive ed è stata sposata per 12 anni, evidentemente gestendo la casa e la sua vita. Presenta competenze comunicative congruenti con il livello di istruzione raggiunto, partecipa ad eventi sociali, non si rilevano significative difficoltà nel prendersi cura di se stessa, e l'imputata ha dimostrato di poter svolgere attività lavorative di carattere pratico".

Cosa rivelano i test in carcere e della difesa

La relazione inizia sottolineando come i test svolti su Alessia Pifferi (come quello psicometrico WAIS) in carcere o dai consulenti della difesa abbiano descritto una persona insufficiente a capire i fatti presentati verbalmente. Il punteggio presentato inoltre esprime "gravissime difficoltà di tradurre i propri ragionamenti con una modalità sequenziale, tanto da rendere difficile per l'interlocutore la comprensione di quanto la persona vuole esprimere". Inoltre un punteggio basso dell'indice di Comprensione verbale (ICV) come riscontrato sulla detenuta è solitamente "riscontrabile in persone che appartengono a culture differenti o non sono madrelingua italiani".

E ancora: "La persona tratteggiata dal test non appare in grado di prestare attenzione a stimoli uditivi, di immagazzinare gli stimoli in memoria a breve termine. Presenta uno span di memoria inferiore a quello di pazienti con danno neurologico conseguente a trauma cranico". Nulla di tutto ciò per la Procura è da riscontrabile in Alessia Pifferi.

Il consulente della Procura contestano i precedenti test

Secondo i consulenti della Procura i primi a mettere in dubbio le carenze psichiche della donna sono i famigliari di Alessia Pifferi: la madre infatti non ha mai confermato un disturbo cognitivo della figlia tanto che questa le parlava anche di questioni sanitarie della piccola Diana. Così come l'amica d'infanzia, la Pifferi viene descritta dalle persone a lei più vicine come una persona che interagisce normalmente con le istituzioni sanitarie, che era stata sposata, che "non aveva fatto rilevare nessun pregresso elemento di allarme specifico".

Anche l'autorità giudiziaria che monitorava costantemente tutto il giorno Alessia Pifferi in cella spiega di una detenuta "attenta alla cura del sé e coartata, ma non si evidenziava una condizione di debilità cognitiva".

La relazione fa riferimento ad una persona che è perfettamente in grado in carcere "di chiedere aiuto specialistico, che è consapevole del ruolo degli avvocati e del dovere di riservatezza degli stessi, e che addirittura pone attenzione alla propria immagine". Usa inoltre un linguaggio "fluente" e in grado di "esprimere i propri sintomi". Quindi secondo il consulente del pubblico ministero "se stiamo parlando di una persona che, secondo il test, non sarebbe nemmeno in grado di gestire se stessa e di esprimersi in modo fluente, appare del tutto contrastante l’immagine di una persona che invece si esprime, pur se in modo coartato, e partecipa alle attività della struttura".

Alessia Pifferi nell'interrogatorio dopo l'arresto con il pm

Al centro dell'analisi dei dottori Marco Lagazzi e Alice Natoli c'è anche l'interrogatorio che Alessia Pifferi ha avuto con il pubblico ministero Francesco De Tommasi il 20 luglio dello scorso anno, ovvero subito dopo l'arresto. La donna era stata sottoposta a una condizione di "grandissimo stress e crisi personale ed esistenziale". Eppure "era lucida, vigile; rispondeva alle domande e comprende subito la spiegazione di concetti giuridici come la elezione di domicilio e delle notifiche; riconosceva la sequenza dei fatti precisando perfettamente le ore, descriveva le caratteristiche di sviluppo della figlia e ricordava che era nata prematura e quanto latte beveva, e descriveva il rapporto con il compagno".

Con questa passaggio nell'interrogatorio la Procura vuole sottolineare come "in una situazione di altissimo stress, la persona ha retto un interrogatorio di lunga durata, ha espresso le proprie tesi difensive, e nello stesso tempo ha ammesso la propria scelta di esporre la piccola al rischio di disidratazione e morte, coerentemente con quanto dichiarato in merito al suo desiderio di avere spazi per sé. Una tenuta emotiva di questo tipo, la precisione dei ricordi, l’espressione di una tesi difensiva, e l’espressione di riflessione sui propri vissuti, sono del tutto incompatibili con un livello cognitivo come quello indicato dal test".

Più nel dettaglio: "Un paziente con una competenza cognitiva come quella attestata, di fronte ad una condizione di stress tanto acuto, con ogni probabilità avrebbe manifestato reazioni di agitazione motoria, oppure mutacismo, o sintomi somatici, con una reazione regressiva coerente con la marcata carenza cognitiva e quindi con l’incapacità di rispondere e reagire in una situazione complessa".

Gli incontri con gli psicologi in carcere

I consulenti della Procura poi si sono soffermati sui colloqui che la Pifferi ha avuto in carcere con le psicologhe: "Appare dunque evidente come Alessia Pifferi, nel corso dei colloqui psicologici effettuati in carcere, abbia modificato sostanzialmente il proprio assetto psichico e il proprio approccio alla vicenda processuale. Poco per volta, sembra perdere le caratteristiche che l’avevano definita sino ad assumere le sembianze di una bambina spaventata e in cerca di affetto". Tra gli ultimi colloqui con i professionisti del carcere c'è anche quello del 6 giugno in cui – secondo il consulente dell'accusa – "la psicologa afferma come la trasformazione della Sig.ra Pifferi sia infine completa, ‘ora sembra veramente una bambina'".

Infine l'accusa dimostrare che la Pifferi sia in grado di capire e fare ragionamenti anche solo considerando la sua testimonianza in Tribunale: l'imputata ha sempre risposto alle domande correggendo anche più volte il pubblico ministero. Anche per questo i dottori Marco Lagazzi e Alice Natoli hanno tratto queste conclusioni: "Tutto questo delinea perfettamente il possesso di capacità che nulla hanno a che fare con la grave carenza cognitiva delineata dal livello intellettivo asseverato dalle psicologhe della struttura, che sono peraltro le stesse, secondo quanto risulta, le quali hanno attestato la piena credibilità di asserzioni della Pifferi che la stessa ha poi contraddetto, e dal cui lavoro con la persona sono emerse, secondo quanto espresso dalla stessa, sia la tesi del suo essere “traumatizzata” (termine psicologico esulante dall’asserito patrimonio cognitivo della Pifferi) se non vessata quando ha reso dichiarazioni, sia quella della induzione da parte del compagno a lasciare la bambina da sola".

"I contenuti del discorso, la tenuta psicologica, la capacità di reggere esami e controesami in Assise, e la gestione delle tesi difensive, che emergono dal verbale, sono palesemente incompatibili con il livello cognitivo asserito dal test somministrato dalle stesse psicologhe che poi tanto hanno “lavorato”, per usare lo stesso termine impiegato, con lei". 

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