Perché Alessia Pifferi è capace di intendere e di volere, secondo la perizia dello psichiatra
È capace di intendere e volere Alessia Pifferi, in carcere con l'accusa di aver lasciato morire di stenti la figlia di pochi mesi. Nei suoi confronti non è possibile formulare una prognosi di pericolosità sociale correlata a infermità mentale. È capace di stare in giudizio. È questa in sintesi quello che è emerso dalla perizia psichiatrica disposta dai giudici della Corte d'Assise di Milano, ribaltando invece l'analisi eseguita dai consulenti della difesa. Per il dottor Elvezio Pirfo, ovvero il perito incaricato dai giudici, non ci sono dubbi: Alessia Pifferi, al termine dei tre colloqui tenuti davanti a lui e ai suoi collaboratori, oltre ai consulenti di accusa e difesa, non ha manifestato disturbi mentali.
O meglio, "in sintesi non è possibile desumere dalla documentazione medica disponibile l'esistenza di un'anamnesi psichiatrica certa anche se è attendibile presumere che non vi siano mai stati disturbi di tipo dissociativo/psicotico o della sfera affettiva". Ma perché Alessia Pifferi è stata ritenta capace di intendere e di volere? Come lo spiega la perizia?
Perché hanno ritenuto la Pifferi capace di intendere e di volere
Dall'esame psichico i periti hanno riportato che l'imputata si è sempre presentata ben vestita e curata "nonostante l'ambiente detentivo". Durante i colloqui Alessia Pifferi è stata disponibile e "ha dimostrato ottima capacità di interlocuzione sostenendo ogni volta più di un'ora di colloquio e mantenendo una assoluta correttezza di comportamento". La donna durante tutti e tre i colloqui, secondo gli esperti, ha sempre mantenuto un atteggiamento "apatico" dal momento che non ha mai "mai mostrato commozione neanche nei passaggi emotivamente più complessi dal punto di vista del potenziale vissuto d’angoscia che ci si poteva attendere rispetto a fatti così drammatici soprattutto per quanto riguarda la morte della figlia; questa caratteristica sempre pre- sente ha trovato conferma anche nell’espressività mimica del tutto assente e fissa, quasi come se la signora indossasse una maschera".
Nei tre incontri però l'imputata ha sempre risposto a tutte le domande e il discorso è sempre stato fluido anche se a volte rallentato. Nulla insomma da far intendere una incapacità di intendere e di volere: durante la chiacchierata con il perito "colpisce l’uso consapevole ed appropriato di termini tecnici di tipo psicologico e psichiatrico che spesso hanno supportato correttamente alcune sue considerazioni più complesse ed articolate. A completamento delle osservazioni generali introduttive dell’esame psichico è doveroso sottolineare che la signora Pifferi in diverse circostanze ha dato l’impressione di modificare il racconto di sé per un’evidente intenzionalità di costruire una narrazione per lei meno responsabilizzante a causa dei suoi problemi psicologici e dei suoi deficit intellettivi".
Ecco quindi la conclusione finale: "Non si apprezza alcun tipo di deficit nelle capacità mnesiche né rispetto alla memoria di fissazione e lavoro a breve termine né in quella dichiarativa ed evocativa a lungo termine anche se, come si dirà, a volte c’è una dichiarazione di “non ricordo” rispetto a fatti e circostanze che ella stessa ha invece narrato in altri momenti". E ancora: "Il funzionamento mentale non è condizionato da deficit cognitivi poiché essi non sono presenti ma sono “simulati” dall’imputata (forse con un’intenzionalità inconsapevole) e quindi non si apprezza una Disabilità Intellettiva. Il funzionamento della personalità è caratterizzato da due tratti che emergono sia dall’osservazione diretta sia dalla valutazione psicodiagnostica e che sono l’alessitimia e la dipendenza. Emergono alcuni tratti disfunzionali della personalità che potrebbero essere ricondotti a Disturbi di Personalità ma specificando che essi NON raggiungono la qualità clinica per formulare la diagnosi di un vero e proprio Disturbo di personalità (secondo DSM 5-TR)".
Cosa pensa il perito sui primi incontri con le psicologhe in carcere
La perizia arriva dopo l'apertura di un'indagine nei confronti dell'avvocata della difesa Alessia Pontenani, indagata per falso ideologico, e delle due psicologhe del carcere di San Vittore, indagate per falso ideologico e per favoreggiamento. Secondo l'accusa, rappresentata dal pubblico ministero Francesco De Tommasi, i risultati dei precedenti incontri sono stati falsificati sottolineando un cambio di rotta tra gli incontri successivi all'arresto e quelli tenuti qualche mese dopo. Accuse tutte respinte dalle indagate. Considerando questo, sulla perizia depositata si legge: "Ai fini della descrizione dell’esame psichico e – successivamente – del funzionamento mentale lo scrivente ha preso in considerazione, oltre agli elementi raccolti nell’osservazione, anche quanto emerge soprattutto dalla visione degli interrogatori videoregistrati (soprattutto quello immediatamente effettuato nel giorno del fermo della sig.ra all’inizio delle indagini a suo carico)".
E ancora: "Infatti è fondamentale annotare che le modalità di interloquire, l’atteggiamento mentale, le posture, i contenuti principali, sono del tutto sovrapponibili a quelli emersi nei colloqui peritali così permettendo di affermare che nulla di quanto osservato dal perito possa essere connesso a condizionamenti dovuti alla detenzione (che pure potrebbe costituire un problema molto significativo per una persona alla sua prima esperienza in tal senso) o alla terapia farmacologica in atto che è articolata con principi attivi che potrebbero risultare sedativi. Al contrario anche in quelle circostanze, come nei colloqui peritali, emerge una “resistenza alla fatica” che questi contesti possono comportare".