La morte di Giulia Tramontana, ventinove anni, uccisa dal compagno trentenne Alessandro Impagnatiello, incarna l’epilogo del copione insanguinato del narcisista patologico. Un narcisista patologico che, scoperto nella sua miseria esistenziale, si è prospettato come unica soluzione quella di eliminare il problema.
Quel sabato 29 maggio 2023, il problema era Giulia, la sua fidanzata, che presto lo avrebbe reso padre. La stessa Giulia che, però, aveva scoperto che il suo compagno portava avanti una relazione parallela con un’altra donna. E sembrerebbe che quest’ultima avesse recentemente interrotto una gravidanza.
Chi è dunque Alessandro Impagnatiello, oltre ad essere uno spietato assassino? Un soggetto che non ha fatto altro che sfruttare le debolezze e le vulnerabilità di due ragazze, giocando con le loro emozioni e manipolando la loro percezione della realtà. Almeno, fino allo scorso sabato. Da quel momento in poi, infatti, Alessandro Impagnatiello ha cercato di distorcere la realtà, ritardando il più possibile la scoperta del massacro.
L’uomo ha ucciso Giulia Tramontana e il bambino che portava in grembo con un coltello. Quindi ha cercato di ridurla in pezzi e di dare fuoco ai suoi resti. Fino ad occultarne il cadavere in una via non lontano da casa. Poi ha sporto denuncia. Iniziando una nuova recita. Quella di scomparsa. La scomparsa della sua fidanzata ventinovenne incinta.
Alessandro, un assassino manipolatore
Alessandro Impagnatiello ha dimostrato sin dalle prime dichiarazioni di voler avere un controllo totale sulla narrazione degli eventi. Allo scopo di manipolare la percezione che gli altri avevano di lui. E che avrebbero poi avuto di Giulia. Una strategia che è apparsa efficace, almeno nelle prime ore.
Al punto da far credere, anche ai familiari della compagna, che potesse essersi davvero allontanata volontariamente. Arrivando addirittura, secondo quanto ipotizzato dagli inquirenti, ad inviare alla suocera sabato sera un messaggio con il telefono della compagna: “Non ti preoccupare madre ora vado a riposare”.
Alessandro ha quindi cercato di modellare il racconto sulle ultime ore di vita della fidanzata a convenienza, spostando l’attenzione ed indirizzando le indagini nella ricerca di una donna scomparsa. Per disinnescare i sospetti e, al contempo, per ottenere compassione dagli altri. In fondo, per l’opinione pubblica ed i familiari, anche lui cercava disperatamente Giulia.
L'assassino di Giulia non ha tolto la maschera neppure durante la confessione. Dimostrandosi un analfabeta emotivo, incapace di provare rimorso e compassione. Durante il racconto dei fatti ha continuato a mettere in campo quello che si definisce controllo narrativo. Culminato nel momento in cui Impagnatiello ha dichiarato di aver tentato di dare fuoco al cadavere di Giulia. Per ben due volte, ha precisato. Prima con l’alcol e poi con la benzina. Dettagli che, anche in termini di “autoconservazione punitiva”, avrebbe potuto omettere. Visto che aggravano la sua posizione. Ma non lo ha fatto per due ragioni.
La prima. Non lo ha fatto perché lo scopo di incendiare i resti di Giulia non sarebbe stato solamente quello di occultare le prove. Al contrario, la decisione di procedere in tal senso sarebbe derivata da una forte spinta emotiva. Voleva cancellarla per sempre. Non è un caso, infatti, che dopo averla uccisa, abbia detto all’amante: "Se n’è andata, sono libero, il figlio non è mio". Un comportamento giustificato dal desiderio di vendetta nei confronti di una donna. Una donna, compagna in gravidanza, che aveva scoperto l’esistenza di una relazione parallela dell’uomo che amava. E che presto lo avrebbe reso padre.
La seconda ragione fa da corollario alla prima. Impagnatiello ha ammesso di aver provato ad incendiare quel che restava di Giulia nella piena consapevolezza che quell’affermazione avrebbe avuto un impatto significativo sui suoi interlocutori. E avrebbe appagato ancora la sua esigenza di dominio e attenzione. In gergo ancor più tecnico, anche in quel contesto, ha cercato di placare il suo bisogno impellente di rifornimento narcisistico.
L’oggettivazione della vittima e il significato del luogo dell’occultamento
Dopo aver massacrato Giulia a colpi di coltello, ha riposto il suo corpo in un’intercapedine in via Monte Rosa, a Senago. Vale a dire in un luogo vicino all’abitazione che condivideva con la compagna. La scelta del luogo è casuale? Nient’affatto, perché avrebbe potuto cercare un posto più lontano. Dunque, perché la decisione di occultarlo in via Monte Rosa?
Anzitutto, perché si trattava di un luogo che non poteva essere direttamente associato a lui, ma che comunque gli avrebbe consentito di monitorare da vicino il luogo dell’occultamento e l'area circostante. E di conseguenza di supervisionare meglio eventuali sviluppi dell’attività investigativa. Non è infatti un caso che l’uomo sia crollato dopo aver visto i carabinieri del RIS salire le scale del suo appartamento. Sapeva che avrebbero isolato le tracce di sangue, che peraltro aveva tentato maldestramente di cancellare.
La scelta del luogo, però, cela un’altra volontà. Quella di dominare Giulia visivamente anche dopo averla uccisa. Un controllo perso dopo essere stato smascherato nei tradimenti. Da entrambe le donne che gravitavano nella sua vita. Sempre il solito copione. Il suo ego non ha retto al disintegrarsi del castello di menzogne.