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Ospitiamo i profughi ucraini nelle ville confiscate alla mafia che rischiano l’abbandono

In questi giorni si sta organizzando l’accoglienza dei profughi ucraini che stanno scappando dalla guerra. Tra le proposte su dove e come ospitare queste persone al vaglio di Comuni e Regioni manca forse la più rapida in grado di dare un forte messaggio anche al territorio: perché non ospitarli nelle ville confiscate alla criminalità organizzata?
A cura di Giorgia Venturini
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L'Italia si prepara ad accogliere i tanti rifugiati ucraini che scappano dalle bombe russe da ormai troppi giorni. Solo in Lombardia nelle prossime ore sono attesi più di 100mila profughi: Regione e Palazzo Marino si stanno organizzando per trovare centri e associazioni che possono ospitarli. Tante le proposte e le soluzioni al vaglio dei vertici regionali e comunali. Ma spesso sfugge forse una delle soluzioni più rapide e comode in situazione di emergenza come questa: perché non usare i tanti beni confiscati alla criminalità organizzata in Lombardia che attendono una burocrazia troppo lunga e rischiano di cadere nel degrado? Perché, diciamolo, la vittoria sulla mafia la si ottiene anche togliendo tutti i beni ai clan ma ancora di più occupando quei beni con persone e associazioni capaci di consegnarli alla legalità. E il nuovo inizio di un bene potrebbe coincidere proprio con il nuovo inizio dei tanti ucraini costretti a lasciare il loro Paese in guerra e cercare la pace in Italia.

Stando all'ultimo rapporto di Libera, in tutta Italia sono 36.600 i beni immobili confiscati dal 1982 (anno dell'entrate in vigore della Legge Rognone-La Torre) ad oggi. Di questi il 48 per cento sono stati destinati all'Agenzia nazionale per le finalità istituzionali e sociali ma ben 5 beni su 10 rimangono ancora da destinare. La Lombardia è la quinta regione con più beni confiscati: prima è la Sicilia con 6.906 beni, seconda la Calabria con 2.747, poi la Puglia con 1.535 e la Lombardia con 1.242. E ancora: in tutta Italia sono 4.384 le aziende confiscate: di queste il 34 per cento è stato già destinato alla vendita o alla liquidazione, all'affitto o alla gestione da parte di cooperative formate dai lavoratori delle stesse. Ma il ben 66 per cento è ancora in gestione all'Agenzia. Cosa aspettiamo allora ad assegnare i beni? La confisca definitiva? Perché lasciarli vuoti è una vittoria per la mafia. Invece la più grande sconfitta per il mafioso è quella di vedere la sua casa occupata dalla società sana.

Lo insegna l'imprenditore che si è ribellato al pizzo a Reggio Calabria, Tiberio Bentivoglio. La sua Sanitaria Sant'Elia in corso Vittorio Emanuele III è l'unica attività commerciale in un bene confiscato alla criminalità organizzata. Un'opportunità che lo Stato dovrebbe rivolgere a tutti: ogni imprenditore che decide di denunciare dovrebbe occupare spazi e case di chi a volte con le minacce a volte anche con i proiettili ha bussato alla propria porta pretendendo il pizzo. Come sarebbe bello rivedere queste case popolate da imprenditori "giusti"? Come sarebbe bello che queste iniziative avvengano pure in Lombardia? Come sarebbe bello mettere questi immobili anche a disposizione della società per situazioni di massima urgenza? Allora ai profughi ucraini e agli imprenditori che denunciano offriamo riparo in una villa di lusso confiscata al boss. Perché dal male al bene il passaggio deve essere più veloce e non può richiedere sempre anni.

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Sono giornalista professionista dal 2020, ma faccio questo lavoro da molto più tempo. Nel settembre del 2020 sono arrivata a Fanpage.it inserendomi nella squadra della cronaca di Milano. Da anni mi occupo di criminalità organizzata soprattutto in Lombardia e di problemi ambientali: due tematiche che spesso si intrecciano tra di loro. Da un anno curo il progetto www.stampoantimafioso.it, un giornale online che si occupa di mafia e antimafia e che seguo insieme ad altri giornalisti e ricercatori che come me si sono laureati in Sociologia della criminalità organizzata.
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