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Omicidio di Sharon Verzeni a Bergamo

Omicidio Verzeni, Sangare ha conservato il coltello come ricordo. La giudice: “Stato mentale integro”

Durante l’interrogatorio di oggi, lunedì 2 settembre, Moussa Sagare – accusato del femminicidio di Sharon Verzeni – ha confessato di non aver gettato l’arma del delitto nel fiume Adda perché “volevo tenerlo per avere memoria di quello che avevo fatto, come un ricordo”.
A cura di Ilaria Quattrone
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Moussa Sangare r Sharon Verzeni
Moussa Sangare r Sharon Verzeni
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Nella giornata di oggi, lunedì 2 settembre, si è svolto l'interrogatorio di Moussa Sangare nel carcere di Bergamo. Il ragazzo è accusato del femminicidio di Sharon Verzeni, la 33enne che è stata accoltellata a luglio a Terno d'Isola, un comune proprio della Bergamasca.

Il trentenne è stato individuato, dopo settimane di indagini, perché immortalato da alcune telecamere di sorveglianza installate nelle vie limitrofe alla scena del crimine. Fondamentale anche la testimonianza di due giovani, che lo hanno collocato nei dintorni del luogo in cui la donna è stata uccisa.

Una volta identificato, Sangare è stato portato in caserma dove poi ha confessato il delitto. Agli inquirenti ha raccontato di essere uscito armato di quattro coltelli perché intenzionato a "eliminare qualcuno". Ha poi visto Verzeni, che era uscita per una passeggiata notturna, e l'ha uccisa. Durante la confessione, ha indicato il luogo in cui aveva nascosto l'arma del delitto. 

Il coltello è stato sotterrato vicino alla sponda del fiume Adda. Oggi, durante l'interrogatorio davanti alla giudice delle indagini preliminari Raffaella Mascarino, ha spiegato di non avere buttato l'arma nel fiume "perché ho pensato che avrei potuto trovarlo ancora lì. Volevo tenerlo per avere memoria di quello che avevo fatto, come un ricordo". 

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Al termine dell'interrogatorio, la gip ha convalidato il fermo e riconosciuto l'aggravante della premeditazione. La giudice ha spiegato che "Seppure le motivazioni addotte dall’indagato in ordine alla spinta che ha portato a commettere il fatto di sangue può destare qualche perplessità in ordine al suo stato mentale, nel momento di compiere l’omicidio però la lucidità mostrata nell’adottare tutta una serie di accorgimenti sia nei momenti precedenti al delitto" e quindi di aver vagato per le vie in attesa di trovare il bersaglio più vulnerabile e "in quelli immediatamente successivi" come correre in bicicletta, prendere strade secondarie e recuperare il cappello che aveva perso o ancora aver adottato alcuni accorgimenti nei giorni seguenti "e cioè aver tagliato i capelli, aver modificato la bici, essersi disfatto dei coltelli e degli abiti usati al momento del delitto – evidenziano uno stato mentale pienamente integro".

Inoltre subito dopo l'arresto, l'indagato è stato portato nel reparto di Psichiatria del carcere dove "non è stata rilevata alcuna traccia di patologia psichiatrica né remota né recente". 

Sempre nell'ordinanza, la giudice ha scritto che l'omicidio è stato posto in essere "nella più totale assenza di qualche comprensibile motivazione, in maniera del tutto casuale, assolutamente gratuita, per non dire addirittura capricciosa".

"L'omicidio sembra commesso da un soggetto che, spesso in preda alla noia, non avendo stabile attività lavorativa, impregnato dai valori trasmessi" da un genere musicale "che esalta la violenza, il sesso estremo, l’esigenza di prevalere attraverso la soggezione sugli altri appartenenti a un gruppo e in generale della società" come la trap e "che aveva architettato come passatempo quello di lanciare coltelli a una rudimentale sagoma di cartone, con apposto alla cima un cuscino su cui era disegnato un volto umano" sarebbe stato assalito "dal desiderio di provare realmente emozioni forti, in grado di scatenare nel suo animo quella scarica di adrenalina" alla quale poi è seguito "uno stato di benessere e relax".

Infine la giudice ha affermato: "Il pensiero che l’esistenza di una giovane donna sia stata stroncata per soddisfare motivazioni di questo genere lascia francamente attoniti".

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