Omicidio Verzeni, Moussa Sangare aveva salvato le indicazioni per ritrovare il coltello: “Volevo un ricordo”
L'aveva già dichiarato agli inquirenti. "Non ho buttato nel fiume il coltello con cui ho ucciso Sharon perché volevo tenerlo come ricordo". E così Moussa Sangare, 30 anni, si era salvato anche nelle note del cellulare le indicazioni per ritrovare l'arma con cui, nella notte dello scorso 30 luglio, ha colpito a morte la barista mentre passeggiava con le cuffiette per le strade di Terno d'Isola (Bergamo).
Nelle note sul cellulare Sangare, come evidenziato da L'Eco di Bergamo, aveva infatti salvato la fotografia del punto in cui aveva sotterrato il sacchetto di terriccio con il coltello utilizzato per uccidere Sharon Verzeni e il percorso da fare per recuperarlo, a partire da un albero sulla riva dell’Adda a Medolago. Grazie a quelle indicazioni, e per la precisione 16 passi partire da quell’albero fotografato, i "metal detective" del bresciano Mu.Re. (Museo Recuperanti) hanno potuto ritrovare il sacchetto con all’interno il grosso coltello da cucina, con evidenti tracce di sangue sulla lama, e le collanine che il giovane indossava la notte del delitto. Tutto materiale consegnato ai Ris.
Perché l'ex rapper, individuato e arrestato a un mese dall'omicidio, non ha scagliato il coltello nelle acque dell'Adda, come ha fatto ad esempio per gli indumenti sporchi di sangue? "Mettendolo sotto terra avrei potuto ricontrollare se era ancora lì. Volevo avere memoria di quello che avevo fatto".
Per il gip Raffaella Mascarino, che lo accusa di omicidio aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi, Moussa Sangare ha ucciso per "noia", per un "capriccio" e per cercare "emozioni forti", scegliendo apposta il "bersaglio più vulnerabile". Dopo, neanche un cenno di pentimento. "Mi veniva da piangere, però al tempo stesso mi sentivo libero, pensavo: che roba", la sua dichiarazione. "Sul divano ho sentito come se mi fossi liberato di un peso. Il giorno dopo ho fatto una grigliata con gli amici".