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Omicidio di Sharon Verzeni a Bergamo

Omicidio Verzeni, la sorella di Moussa Sangare: “Non stava bene, mi ha minacciata con un coltello”

Awa Sangare, sorella di Moussa, indagato per l’omicidio di Sharon Verzeni: “Non credevamo arrivasse a questo. Addolorate per Sharon e la sua famiglia”
A cura di Pierluigi Frattasi
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Moussa Sangare e Sharon Verzeni
Moussa Sangare e Sharon Verzeni
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“Mio fratello non stava bene. Ad aprile mi ha raggiunto alle spalle mentre stavo ascoltando la musica in sala e mi ha minacciato con un coltello. Io non mi ero accorta di niente, mia mamma, che da quando ha avuto l'ictus non riesce più a parlare, cercava di farmi capire che ero in pericolo. Allora io mi sono girata e Moussa si è fermato. Se n'è andato, ridendo”.

A parlare  in un'intervista all'Eco di Bergamo è Awa Sangare, sorella di Moussa Sangare, l'assassino reo confesso di Sharon Verzeni, la donna, 33enne, uccisa a coltellate in strada a Terno d’Isola, in provincia di Bergamo, mentre era in bici la notte del 30 luglio 2024.

Awa è una studentessa 24enne di ingegneria gestionale e fino al 9 maggio scorso viveva nella stessa casa assieme alla mamma e al fratello Moussa, 31enne milanese, indagato per il femminicidio.

“Non credevamo arrivasse a questo”

“Quando ci hanno detto che era stato lui a uccidere quella povera ragazza – racconta Awa Sangare – siamo rimaste choccate. Sapevamo che non stava bene, ma mai avremmo potuto pensare che potesse arrivare a questo. Non doveva finire così, assolutamente no. Il nostro pensiero va a quella povera ragazza, a Sharon e alla sua famiglia, siamo molto addolorate”.

La studentessa 24enne cerca di ricostruire, poi, gli ultimi anni trascorsi assieme in casa. “Era un bravo ragazzo, poteva sembrare strano forse ma tranquillo, almeno fino a quando non è andato negli Stati Uniti e poi a Londra nel 2019: è tornato ammettendo di aver iniziato a fare uso di droghe sintetiche. Non era più lui”.

E, ancora:

“Per mio fratello nessuno si è mosso. Abbiamo fatto di tutto per liberarlo dalla dipendenza, per affidarlo a chi potesse aiutarlo, ma lui ha sempre rifiutato. A noi, dopo aver verbalizzato le denunce, hanno dato i volantini dei centri antiviolenza mentre per un ricovero in qualche centro per fare uscire Moussa dalla dipendenza ci hanno risposto che doveva essere lui a presentarsi in modo volontario”.

“Avevamo paura in casa”

Non nasconde il dolore la ragazza per i momenti difficili vissuti:

“Ci sono stati giorni in cui la paura era sempre dentro le mura di casa, non mi lasciava mai. Giorni in cui urlava, parlava da solo, delirava”.

Fino al 9 maggio, quando la difficile convivenza è terminata, dopo la terza denuncia presentata in un anno dalle due donne. Moussa è andato a vivere in un altro appartamento, ma sempre nella stessa palazzina:

“Non avevamo proprio più contatti. Stavamo nella stessa casa ma su due piani diversi e lui di giorno si chiudeva in casa e usciva la notte, è sempre stato solitario. E comunque negli ultimi tempi non si è più mostrato violento con noi”.

“Mi ha minacciata con un coltello”

Infine, Awa conclude:

“Prima dello scorso aprile non aveva mai usato un coltello contro di noi. Ma quel giorno, era il 20 aprile, mi ha raggiunto alle spalle mentre stavo ascoltando la musica in sala e mi ha minacciato con un coltello. Io non mi ero accorta di niente, mia mamma, che da quando ha avuto l'ictus non riesce più a parlare, cercava di farmi capire che ero in pericolo. Allora io mi sono girata e Moussa si è fermato. Se n'è andato, ridendo”.

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