Omicidio Lidia Macchi, a Stefano Binda un risarcimento di oltre 200mila per ingiusta detenzione
La Corte d'Appello di Milano ha confermato che Stefano Binda, assolto in via definitiva dall'accusa di avere ucciso nel 1987 a Cittiglio (Varese) l'amica 21enne Lidia Macchi, ha diritto ad un indennizzo di 212mila euro da parte dello Stato come “riparazione per l'ingiusta detenzione” per essere stato recluso tre anni e mezzo in carcere, tra il 2016 e il 2019.
La decisione arriva dopo una precedente sentenza di risarcimento di circa 300mila euro, poi annullata con rinvio dalla Cassazione. Il risarcimento sarà decurtato del 30 per cento a causa della condotta processuale tenuta da Binda, che nel corso dell’esame in aula avrebbe assunto un comportamento equivoco e confuso.
"Il 15 gennaio del 2016 ero in casa mia nel mio letto quando la Squadra omicidi mi ha arrestato e portato in carcere con l'accusa di aver ucciso Lidia Macchi", raccontò il diretto interessato a Fanpage.it. Gli inquirenti, 30 anni dopo il fatto, lo individuarono come l'autore dell'assassinio della giovane di Comunione e Liberazione, violentata e uccisa con 29 coltellate: unico indagato per il delitto, resterà in carcere dal gennaio del 2016 al luglio del 2019. "Ho passato in carcere tre anni, sei mesi e otto giorni. Sono stato in tre carceri diverse, sono stato in isolamento per i primi sei mesi". Poi, i gradi di processo e l'assoluzione definitiva per non aver commesso il fatto.
L'omicidio di Lidia Macchi ancora senza un colpevole
È il 5 gennaio del 1987 quando Lidia Macchi, studentessa di 21 anni, esce di casa per andare a trovare una sua amica ricoverata all'ospedale di Cittiglio, provincia di Varese. Da lì non farà mai più ritorno: il corpo senza vita della ragazza viene trovato due giorni dopo in un bosco vicino all'ospedale. Gli accertamenti sul cadavere diranno che Lidia è stata prima violentata e poi uccisa a coltellate.
Vengono battute tante piste dagli inquirenti, ma solo una condurrà lentamente a un vero e proprio processo: quella che individua il colpevole in Stefano Binda, amico della giovane e come lei membro di Comunione e Liberazione. Perché? Secondo l'accusa avrebbe cercato di punire Lidia per averlo indotto a trasgredire al suo ferreo principio religioso di castità.
A carico di Binda, però, ci sono solo indizi: un alibi non verificato, la perizia calligrafica e alcune testimonianze. Tra tutte manca la prova regina, ovvero il confronto del Dna dell'imputato con quello dell'assassino. Ma tutti i vetrini contenenti la traccia biologica di chi uccise Lidia sono infatti stati distrutti: non c’era più spazio nell’ufficio corpi di reato. Il 27 gennaio 2020 Stefano Binda viene così definitivamente assolto dall'accusa di omicidio.