Omicidio Laura Ziliani, il giallo del farmaco utilizzato per narcotizzarla e ucciderla
"Escludiamo proprio che ci sia stato sottratto quel tipo di medicinale": a dirlo a Fanpage.it è Leonardo Toloni, presidente della Rsa (residenza sanitaria assistenziale) di Ponte Legno dove lavorava una delle figlie di Laura, Silvia Zani. La ragazza, insieme alla sorella Paola e al fidanzato Mirto Milani, è accusata di aver ucciso e nascosto il cadavere della madre Laura Ziliani, l'ex vigilessa scomparsa lo scorso 8 maggio a Temù (Brescia). Il medicinale a cui si riferisce Toloni è la benzodiazepina, le cui tracce sono state trovate nel corpo della donna a seguito dell'esame tossicologico. Un flacone dello stesso medicinale è stato sequestrato nell'appartamento che le due sorelle condividevano con il fidanzato della maggiore, che a quanto pare aveva una relazione anche con l'altra sorella.
La struttura dove lavorava Silvia: Impossibile che abbia preso il farmaco da noi
Le indagini degli inquirenti hanno permesso di scoprire però che Silvia – come si legge nell'ordinanza di custodia cautelare – avesse sottratto in passato della Quetipina 50 per provarne gli effetti insieme all'alcol. Dalle carte però non è specificato se la sostanza sia stata rubata nella casa di riposo dove la 27enne lavorava prima che la madre sparisse. Intanto dalla Rsa spiegano a Fanpage.it che "i medicinali sono tutti controllati. Non abbiamo mai registrato degli ammanchi di qualsiasi tipo di farmaco. Tutti, soprattutto quelli più importanti, sono controllati a vista. Quello che viene somministrato, viene numerato. È praticamente impossibile che abbia portato via da noi dei medicinali".
Dopo la scomparsa, Silvia si mise in aspettativa
Non è quindi ancora chiaro dove sia stato recuperato il farmaco con il quale il trio avrebbe narcotizzato la 56enne per poi soffocarla nel sonno, come si ipotizza al momento. Subito dopo la sparizione della donna – fu proprio Silvia a dare l'allarme chiamando le forze dell'ordine – la ragazza decise di mettersi in aspettativa: "Lei aveva un contratto di sei mesi: dal primo dicembre al 31 maggio. Il 7 maggio ha lavorato per l'ultima volta da noi. Sabato – spiega ancora Toloni – c'è stata la sparizione della mamma e il lunedì mattina ha parlato con la referente dicendo che, a causa di questo fatto, chiedeva di stare in aspettativa fino alla fine del mese. Alla fine del mese scadeva il contratto, noi l'avremmo anche rinnovata perché avevamo bisogno di personale, ma lei stessa ha detto ‘visto la situazione che non troviamo la mamma preferisco chiudere il rapporto lavorativo'".
Mai notati segni di instabilità
Nessuno tra i colleghi e le colleghe di Silvia nei sei mesi antecedenti la sparizione della madre aveva mai notato segni di instabilità nella ragazza. Nonostante sia stato riconosciuto nel delitto un elemento di premeditazione, che lascia pensare che i tre indagati abbiano a lungo architettato il piano per uccidere la donna e ottenerne il patrimonio, sul lavoro la 27enne non ha mai mostrato insofferenze o problemi: "Era una persona dedita al lavoro. Puntuale sugli orari, dimostrava la sua professionalità di fisioterapista, le stesse colleghe non hanno mai dichiarato o fatto notare cose anomale rispetto alla sua professione". Forse la sua era parte di quella freddezza che, come scritto dal giudice per le indagini preliminari Alessandra Sabatucci nell'ordinanza di custodia cautelare, era non comune considerata l'età e l'assenza di precedenti.