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Omicidio Laura Ziliani, il corpo nascosto per tre mesi: “Mai uscita viva dalla casa di Temù”

Laura Ziliani, l’ex vigilessa scomparsa da Temù (Brescia) l’8 maggio scorso, non è mai uscita da casa viva: è questa la tesi a cui sono giunti gli inquirenti relativamente alla morte della donna. Il corpo inoltre è stato tenuto nascosto per tre mesi in un luogo che ancora non si conosce. Per il suo omicidio sono state arrestate due delle figlie e l’ex fidanzato della maggiore.
A cura di Ilaria Quattrone
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"Non è mai uscita viva dalla casa di via Ballardini": è questa quanto emerge nell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Brescia relativamente al caso di Laura Ziliani. La donna di 56 anni è scomparsa l'8 maggio scorso da Temù (Brescia). Il suo corpo è stato ritrovato a distanza di tre mesi. Oggi, venerdì 24 settembre, due delle tre figlie (Silvia e Paola Zani) e il fidanzato della più grande, Mirto Milani, sono stati arrestati con l'accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere.

Dalle tracce del farmaco all'app conta passi

Dalle indagini è emerso che dietro l'uccisione di Ziliani ci sia stato un piano ben orchestrato dai tre. Tra gli elementi raccolti, emerge una cena organizzata un mese prima della scomparsa dove la dipendente comunale sarebbe stata "avvelenata con una tisana". A questo si aggiunge il ritrovamento di un flacone di benzopam a casa dei tre arrestati. Farmaco di cui un composto è stato trovato dall'esame tossicologico nel corpo della donna. I tre hanno poi raccontato che la donna è uscita alle 7 del mattino per una passeggiata. La loro affermazione potrebbe essere sconfessata dal ritrovamento dei vestiti in luoghi che appaiono in contraddizione con il percorso che la vittima avrebbe dovuto svolgere. E soprattutto dalle celle telefoniche del cellulare, dalla geolocalizzazione dello stesso e dall'app conta passi che fino alle 8 del mattino ne contava zero per poi registrarne 38 fino alle 8.20.

Il cadavere è stato tenuto nascosto per tre mesi

Le prove che la donna non sia morta per un infortunio o un malore sono state date sostanzialmente da tre elementi: le tracce di bromazepam nel corpo, lo stato in cui è stato trovato il cadavere e i vestiti con i quali la donna è stata trovata. Su quest'ultimo aspetto in particolare l'ordinanza spiega come l'autopsia ha rivelato che appaia "poco probabile che il cadavere sia rimasto per un lungo periodo di tempo nelle condizioni ambientali che caratterizzavano il luogo di ritrovamento". Una tesi confermata anche dai rilievi della polizia scientifica: il luogo e le condizioni del cadavere dimostrano che la donna non sia morta lì né che sia stata trascinata dalla piena del fiume – magari a causa di un infortunio o malore – e che potesse arrivare lì. Ad avallare questa tesi c'è anche il fatto che, considerato lo stato avanzato di decomposizione in cui il corpo è stato trovato, è impossibile che i soccorritori non avessero mai avvertito l'odore: "La calura e l'esposizione alla fauna – si legge nelle carte – avrebbe anche in quell’epoca innescato un processo di decomposizione ben percepibile".

Per gli inquirenti quindi il corpo è stato nascosto a lungo in un luogo che ancora oggi è sconosciuto: certamente è però incompatibile con il luogo del ritrovamento. L'altro elemento è dato dai vestiti. Ciò con cui è stata trovata fa pensare che il suo abbigliamento fosse quello notturno quindi che le scarpe e i jeans trovati nei mesi delle ricerche siano stati piazzati lì da qualcuno. Gli investigatori sono quindi convinti che la donna non sia morta lì dove il suo cadavere è stato trovato, ma sia stato nascosto “lungamente in luogo che ne ha permesso una discreta conservazione per l’ampio lasso temporale di tre mesi”.

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