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Omicidio di Sharon Verzeni a Bergamo

Omicidio di Sharon Verzeni, perché è indagato un 76enne che fumava sul balcone

Un 76enne di Terno d’isola, Antonio Laveneziana, è stato iscritto nel registro degli indagati per falsa testimonianza. Secondo gli inquirenti, avrebbe omesso dettagli sugli attimi in cui Sharon Verzeni è stata assassinata.
A cura di Chiara Daffini
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A quasi un mese dalla notte in cui è stata accoltellata a morte la 33enne Sharon Verzeni, in una via residenziale di Terno d'Isola, nella Bergamasca, ancora sembrano non esserci indizi concreti su chi abbia potuto uccidere una donna conosciuta da tutti come riservata, con poche frequentazioni, prossima a sposarsi col compagno di una vita. Per questo i carabinieri stanno continuando a scavare nella vita della giovane, interrogando più volte i familiari.

Eppure proprio questa incertezza ha scritto il primo nome nel registro degli indagati. Non per la morte della giovane – il cui assassino ad oggi sembrerebbe non avere ancora né un volto né un nome -, ma per la presunta omissione di dettagli che potrebbero essere utili alle indagini, quanto mai tortuose, nella ricerca della verità.

Il nome è Antonio Laveneziana, 76 anni, residente in via Castegnate, a 150 metri da dove Sharon Verzeni è stata aggredita e soccorsa dopo aver avuto le ultime forze per chiamare il 112. Il volto è quello di un pensionato pugliese che vive con la moglie Pietrina Epicoco in un monolocale con balcone. Su quest'ultimo le telecamere di video sorveglianza l'hanno inquadrato mentre fumava una sigaretta proprio negli attimi in cui Sharon veniva uccisa.

Laveneziana: "Non ho visto niente"

Una prospettiva aerea che non gli avrebbe comunque consentito di scorgere i dettagli dell'omicidio, ma che, secondo gli inquirenti, non poteva escludere dal campo visivo la sagoma in bicicletta che proprio negli attimi in cui Sharon chiedeva aiuto attraversava contro mano via Castegnate. Eppure Laveneziana, che alle spalle ha qualche precedente penale, non avrebbe avuto dubbi nel rispondere in caserma: "A quell'ora dormivo".

Ma l'occhio di una delle telecamere installate nelle zone attigue alla sua abitazione (non, sfortunatamente, sul luogo del delitto) ha visto altro e davanti al frame che lo inquadrava in piedi sul balcone a fumare, Laveneziana ha risposto "Non ho visto niente, perché mi hanno operato alla cataratta a tutti e due gli occhi e non ho sentito urla perché sono sordo".

Versione che non è sembrata genuina a chi indaga, tanto da aprire, il 14 agosto, un fascicolo parallelo a quello dell'omicidio, in cui Antonio Laveneziana, assistito dall'avvocato d'ufficio Alessandro Zonca, dovrà rispondere all'accusa di falsa testimonianza.

La lettera: "Chi sa, parli"

E per ironia della sorte, o forse per l'esasperazione angosciata dei residenti di Terno d'Isola, nelle stesse sul luogo dell'omicidio è apparsa tra i fiori seccati dal caldo una lettera che si rivolge direttamente alle coscienze dei residenti della via: “Nessuno – scrive una mano anonima, che si scoprirà poi appartenere alla zia della vittima, Giusy Previtali – può riportarcela indietro, ma qualcuno può dare una spiegazione a tutto ciò".

"La parola perché – continua – è la prima parola del giorno e l’ultima della giornata. Ogni giorno è così, ogni giorno è angoscia. Non siate complici di questa brutalità. Sharon è figlia di tutti, è una parte della nostra vita. Chi sa non volga le spalle, non si nasconda, ma abbia il coraggio di dare giustizia a una vita".

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