Omicidio Bozzoli, maiale bruciato in una fonderia: il test per capire che fine abbia fatto il corpo
La fumata è bianca, ma dall’esterno non si vede. Resta dentro, esattamente come, secondo tutte le prove emerse finora, dalla sua fonderia pare non essere mai uscito Mario Bozzoli, imprenditore bresciano scomparso la sera dell’8 ottobre 2015 e mai più ritrovato. Le indagini hanno direzionato l’accusa di omicidio sul nipote Giacomo Bozzoli, impegnato nell’omonima fonderia di famiglia: il processo si è aperto il 14 gennaio 2021 ed è arrivato, nella giornata di mercoledì 27 aprile, a un esperimento che i periti ritengono fondamentale. Bruciare, nel forno di un’altra fonderia bresciana (la Gonzini di Provaglio d’Iseo), un maialino di circa 13 chili, rivestito di indumenti simili a quelli che indossava Bozzoli la sera della scomparsa.
L’esperimento e le proteste
L’esperimento giudiziale in scala ridotta – il forno della Gonzini è più piccolo rispetto a quello in cui si ipotizza sia stato gettato il corpo di Bozzoli, il quale pesava quasi 90 chili, contro i 13 del suino – è stato disposto dalla Corte d’Assise presieduta da Roberto Spanò. Il quale, incontrato fuori dallo stabile, non ha voluto pronunciarsi: “I giudici parlano solo durante le udienze”, dice allontanandosi sotto il grido di una quindicina di animalisti arrivati fuori dalla fonderia per protestare contro l’utilizzo di un animale per scopi giudiziari: “Si poteva usare il cadavere di chi ha donato il proprio corpo alla scienza – il grido del gruppo di attivisti -, non quello di chi non ha la coscienza per decidere. E poi – aggiungono, contestando la giustificazione della Procura di Brescia – un maiale in un allevamento intensivo non può morire naturalmente”. Fanno loro scudo i carabinieri in tenuta anti sommossa, mentre la Digos impedisce a chiunque di varcare l’ingresso della fonderia.
Le due verità
L’inizio dell’esperimento è stato previsto per le 14.30, ma la moglie di Mario Bozzoli, Irene Zubani, insieme alla sorella del marito defunto e al cognato, erano fuori dalla Gonzini ancora prima delle 13. Più tardi sono arrivati anche il fratello della vittima, Adelio, insieme al figlio Giacomo, unico imputato nel processo. “Siamo qui per la verità”, dice Zubani, che però è sfuggita alle telecamere, così come il cognato Adelio, che però ha lasciato scappare una constatazione: “Mio fratello pesava quasi 90 chili, se fosse finito nel forno si sarebbe avvertito”. Ed è proprio per questa ragione – l’assenza di prove tangibili che spieghino come mai le telecamere di sorveglianza non hanno mai visto uscire Bozzoli dalla fonderia quella sera di inizio ottobre – che ha portato al test.
Ritornare all’8 ottobre 2015
Due le fasi. In un primo momento il corpo del maiale è stato adagiato su uno strato rovente di materiale, per essere disidratato, in una seconda lo si è immerso nel bagno di metallo fuso. Nessuna esplosione: questo il primo dato importante, che rafforzerebbe l’ipotesi dell’accusa, secondo la quale il corpo di Bozzoli è finito dentro il forno senza lasciare tracce evidenti, né durante né dopo. Per quanto riguarda l’odore, nessuna esalazione che renda l’aria irrespirabile, solo la puzza di pelo bruciato, che si avverte più all’esterno che all’interno della fonderia. Al contrario della fumata, non visibile dai comignoli, ma vista all’interno e di colore bianco. Per ricreare condizioni identiche rispetto alla sera del presunto omicidio, sono stati spenti gli aspiratori per tre minuti: perché a Marcheno, alle 19.21 dell’8 ottobre 2015, si è registrata una fumata bianca e Oscar Maggi, uno degli operai, ci mise giusto tre minuti per riattivare l’impianto di aspirazione.
Saranno prove decisive?
Il forno è stato spento alle 17.30: è stato necessario che si raffreddasse per procedere alla scorificazione, cioè la raccolta di eventuali scorie, trasferite poi in una carriola. L’ipotesi dell’accusa è che nel 2015 gli stessi resti di Bozzoli siano stati schiumati prima dell’arrivo degli esperti tecnici, i quali per due anni hanno analizzato tonnellate di scorie senza trovare alcuna traccia dell’imprenditore. Poco dopo le sette di sera si è chiusa l’udienza in esterna, mentre sono rimasti i periti, a pesare i resti e misurarne la temperatura. I consulenti di parte, invece, si sono preparati a tornare oggi per presiedere al prelievo di un eventuale Dna nel forno e nella cappa. “Abbiamo raccolto prove scientifiche importanti – ha commentato in serata il genetista forense Giorgio Portera -. Entro un mese dovremmo avere i risultati delle analisi effettuate, che discuteremo nel corso della prossima udienza, fissata a inizio giugno”.