Oggi Lea Garofalo avrebbe compiuto 47 anni. Disse: “Di me si parlerà quando non ci sarò più”
"Di me si parlerà quando non ci sarò più". È la frase che Lea Garofalo ha ripetuto più volte al suo avvocato Enza Rando durante i loro incontri del 2008 e 2009. E così è stato: Lea Garofalo, la testimone di giustizia calabrese che aveva raccontato agli inquirenti fatti di ‘ndrangheta riconducibili alla sua famiglia, è stata uccisa a Milano il 24 novembre del 2009 dal suo ex compagno. Da allora la sua storia ha aperto coscienze e ha dato forza ad altre donne per staccarsi da contesti criminali e cercare la libertà. Le aule del tribunale di Milano durante il processo ai mandati e agli esecutori dell'omicidio di Lea erano piene di ragazzi, di giovani che si sono avvicinati al movimento antimafia e che ora, a distanza di anni, sono ritornati a frequentare i tribunali come magistrati e avvocati. Oggi, 24 aprile, Lea Garofalo avrebbe compiuto 47 anni.
Il primo incontro con Lea Garofalo
"Non potrò mai dimenticare il nostro primo incontro – racconta a Fanpage.it l'avvocato e vicepresidente di Libera Enza Rando -. A Firenze nel 2008 Lea si era presentata a un convegno in cui aveva preso parte Don Luigi Ciotti (presidente di Libera) e aveva raccontato a lui la sua storia. Poi ci siamo incontrate io e lei: si era presentata con alcuni dolci che abbiamo mangiato durante la nostra chiacchierata. Non mi era mai successo una cosa simile". Lea si presenta dall'avvocato Rando per risolvere una piccola lite tra Denise, la figlia, e una coetanea. Lea era intervenuta per difendere la figlia e così temeva una condanna. "In quell'occasione mi parlò di lei. Fino ad allora mi ero sempre occupata di casi legati a Cosa nostra, mai di ‘ndrangheta. Venni a sapere così nuove dinamiche interne dell'organizzazione criminale calabrese che mi impressionarono". Lega Garofalo era preoccupata ed arrabbiata perché seppur nel sistema di protezione non si sentiva al sicuro: la Calabria riconosceva il rischio che stava correndo, gli uffici di Roma invece no. Ma cosa ancora peggiore Lea aveva svelato affari illegali della sua famiglia, aveva fatto nomi. Eppure le sue parole non erano state ritenute sufficienti per dare inizio a un processo.
Lea aveva denunciato un primo agguato
È il 2002 quando entra nel programma di protezione insieme alla figlia Denise, avuta con l’ex compagno Carlo Cosco. Ai magistrati racconta l’attività di spaccio condotta dalla famiglia Cosco e la faida interna tra questa e la sua famiglia che aveva potato alla morte del fratello Floriano Garofalo nel 2005. Fugge con Denise da Petilia Policastro, suo paese natale in provincia di Crotone, e si nasconde a Campobasso fino all’aprile del 2009 quando decide di uscire dal programma di protezione. A Campobasso Lea Garofalo riesce a sfuggire a un primo agguato: "Quando la incontrai aveva già subito il tentato omicidio a Campobasso. Lei aveva denunciato, era spaventata e sapeva che a organizzare l'agguato era stato l'ex compagno. Lo aveva capito, mentre tutti gli altri ancora no. Lo confermeranno poi le indagini più avanti", continua a spiegato l'avvocato. Dall'agguato di Campobasso Lea si salva grazie alla figlia che in quel momento era con lei in casa. Non si salverà invece quel 24 novembre del 2009 a Milano, quando Lea aveva rincontrato Carlo Cosco per parlare del futuro della figlia. Le telecamere comunali la riprendono per l'ultima volta camminare con la figlia per le vie della città, poi il silenzio. Quello che resta del corpo di Lea è stato trovato nel quartiere San Fruttuoso a Monza: qui è stato dato alle fiamme per tre giorni.
L'amore di Lea per la figlia Denise
"Chi era Lea? Era una persona intelligentissima. Leggeva molto – precisa l'avvocato -. Era sempre molto lucida nei suoi ragionamenti. Più di ogni altra cosa amava sua figlia. Il suo unico pensiero era quello che la figlia studiasse perché sapeva che solo la scuola ti può far alzare la testa e dire di no. Mi ripeteva spesso, ‘fatela studiare'. E così Denise ha fatto". Quando inizia il processo contro gli esecutori e mandanti dell'omicidio di sua madre Denise non è sola: può contare sul supporto di adulti e giovani, da Nord a Sud, che si sono stretti attorno a lei. "Per assistere al processo arrivavano pullman di studenti da altre regioni", ricorda Enza Rando. Che poi conclude: "Solo dopo la sentenza di condanna Denise si è avvicinata e ha detto: ‘Ora possiamo fare il funerale. Voglio che venga fatto a Milano'". Il 19 ottobre del 2013 piazza Beccaria a Milano era affollatissima. Altre donne vedendo quelle immagini hanno deciso di ribellarsi alla ‘ndrangheta. Tutti ora la ricordano, perché come diceva lei: "Di me si parlerà quando non ci sarò più".