“Non si stavano separando, me l’avrebbe detto”: parla la migliore amica della donna uccisa a Samarate
"Non si stavano separando, Stefania era la mia migliore amica, me l’avrebbe detto". A parlare a Fanpage.it è Monica Randon, vicinissima alla 56enne Stefania Pivetta, che nella notte fra il 3 e il 4 maggio, a Samarate (Varese) è stata uccisa a colpi di martello e cacciavite insieme alla figlia Giulia dal marito, Alessandro Maja, poi fermato per l'omicidio.
La villetta con piscina diventata mattatoio
Via Torino, il giorno dopo la strage familiare, sembra quasi tornata alla normalità. Nelle villette curate e immerse nel verde le ante sono serrate e le tapparelle abbassate, tutti sono al lavoro e a scuola. Oltre i cancelli e le siepi si intravedono eleganti mobili da giardino, giochi per bambini e in alcuni casi persino piscine interrate. Indizi di benessere, tranquillità e normalità traditi al numero 32 dai sigilli su porte e finestre. E da un crocchio di fiori, con un lumino. Lì, fino a due giorni fa, la famiglia Maja aveva vissuto come tutte le altre.
La migliore amica: “Non si stavano separando”
“Stefania era tranquilla – ripete Monica mentre si avvicina all’abitazione con un mazzo di fiori e una lettera in mano -, i problemi erano quelli di tutte le coppie che lavorano e hanno figli, niente di più. L’ho sentita l’ultima volta martedì sera alle 19, non mi aveva accennato nemmeno a un litigio o a malumori. Niente”.
Al mercatino una piazzola vuota per Stefania
Altre due amiche, insieme a Monica, piangono davanti al cancello della villetta: “Aveva già preparato le cose per il mercatino”, dice una di loro, riferendosi all’attività commerciale che Stefania aveva intrapreso da qualche tempo. “Era sempre allegra, sembrava serena, del marito non parlava molto”, dicono gli amici del mercatino di San Salvatore, che hanno deciso di lasciare vuota una postazione per ricordarla.
La vicina: “Lui aveva fatto scappare un ladro da casa mia”
Anche la vicina di casa, Manuela Mondin, conferma l’assenza di segnali che avrebbero potuto far presagire il dramma: “Li conosco da 22 anni, tutta la famiglia – dice Manuela, che mercoledì mattina presto, insieme alla figlia Chiara, ha dato l’allarme ai soccorsi sanitari e ai carabinieri -. Non abbiamo mai sentito una lite, mai una tensione anche solo percepita. Nicolò (l'altro figlio, ferito dal padre e adesso in gravissime condizioni, ndr) e Giulia sono cresciuti con mia figlia e Alessandro e Stefania c’erano sempre quando avevo bisogno. Certo, Alessandro, lavorando a Milano, frequentava poco il paese, ma ricordo per esempio che quando un ladro ha tentato di entrare in casa mia è stato lui a rincorrerlo”.
Da marito e padre amorevole ad assassino
Di origini albanesi, ma nato in Italia, il 57enne Alessandro Maja aveva uno studio di design sui Navigli e lavorava soprattutto nel settore interni per bar e locali. “Un gran lavoratore”, il commento di quanti avevano avuto a che fare con lui. Orgoglioso del figlio Nicolò, 23 anni, che aveva appena preso il brevetto di volo e che è stato l’unico a sopravvivere al mattatoio nella villetta. Innamorato della figlia sedicenne Giulia, come ogni padre. Sposato con Stefania dal 1992. Da padre, marito e collega “normale” si è trasformato in un assassino, usando per uccidere proprio quegli attrezzi – un martello e un cacciavite – con cui un tempo doveva aver appeso i quadri in salotto e riparato i mobili della cucina.
“Li ho uccisi tutti, bastardi!”
“All’inizio gridava ‘aiuto’ – racconta Chiara Ceriotti, vicina di casa -, era in mutande sul poggiolo. Per questo la prima cosa che abbiamo fatto, mia mamma e io, è stata chiamare il 112 per un'ambulanza. Ma quando stavamo aspettando i soccorsi ha iniziato a dire ‘Li ho uccisi tutti, bastardi’, allora ho deciso di chiamare anche i carabinieri”.