Ergastolo ad Alessandro Maja per la strage di Samarate, il figlio sopravvissuto Nicolò: “Mi sento liberato”
La condanna per il padre omicida di Samarate, che una notte del maggio 2022 sterminò la famiglia a martellate, è chiara (e prevedibile): ergastolo, con 18 mesi di isolamento diurno e l'obbligo a risarcire le parti con 900mila euro. Ma il dubbio resta ancora al figlio sopravvissuto Nicolò Maja, 24 anni, ridotto in fin di vita dal padre e salvo quasi per miracolo dopo mesi e mesi di cure ospedaliere. "Vorrei sapere perché ha deciso di distruggere la nostra famiglia", è il suo commento a caldo, dopo la sentenza pronunciata dal giudice. "L'ho guardato e gli ho fatto vedere la maglietta con i volti di mia madre e mia sorella. Lui ha mandato un bacio".
Le parole di Nicolò Maja dopo la condanna all'ergastolo del padre
Una strage senza spiegazione, e senza pace. "Ma l'ergastolo era il minimo, per quello che ha fatto. Mi sento liberato, sento che questa parte della mia vita un po’ si è conclusa. Anche se non ci sarà mai una giustizia che riporterà indietro mia madre e mia sorella. Non perdonerò mai mio padre", racconta in aula, affiancato dall'avvocato Stefano Bettinelli e dai nonni materni. "Ora si volta pagina, la carrozzina l'ho abbandonata. Per quanto è possibile, vorrei avere una vita normale. Trovare un lavoro, essere autonomo, riprendere la mia passione per il volo".
La strage di Samarate nel maggio 2022
Nella notte tra il 3 e il 4 maggio, nella villetta di famiglia a Samarate (Varese) l'architetto 57enne Alessandro Maja ha colpito con un martello la moglie Stefania Pivetta, 56 anni, e la figlia sedicenne Giulia: entrambe erano immerse nel sonno. La furia omicida dell'uomo raggiunge anche il primogenito Nicolò, che riporta gravissime ferite al cranio ma riesce a sopravvivere. "Li ho uccisi tutti", urlerà poi Maja affacciandosi dal balcone, ancora sporco di sangue.
Le motivazioni di un gesto così folle, ancora oggi, non sono mai state del tutto chiarite. Dietro le azioni omicide di Alessandro Maja, dichiarato capace di intendere e di volere da una perizia psichiatrica (anche se la difesa dell’uomo farà appello “per il mancato riconoscimento della parziale infermità"), secondo quanto emerso, ci sarebbero alcuni investimenti sbagliati, un progetto che non decollava, difficoltà economiche. "Ci parlava di questo suo errore sul lavoro, si chiedeva come fosse possibile. Ma noi cercavamo di spronarlo a fare meglio, a risolvere", aveva detto Nicolò. "Non posso credere che mio papà abbia fatto una cosa di questo genere".