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Neonato morto dopo il parto in casa, condannata l’ostetrica: dovrà risarcire i genitori con 280mila euro

La tragedia il 4 aprile del 2022 durante un parto in casa a Concorezzo (Monza e Brianza): il bimbo, rimasto strozzato dal cordone ombelicale, era morto dopo due giorni. Condannata a un anno e mezzo (con sospensione) l’ostetrica accusata di omicidio colposo.
A cura di Francesca Del Boca
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Immagine di repertorio
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È stata condannata a un anno e mezzo di reclusione (con sospensione condizionale della pena) M.C., l’ostetrica milanese accusata di omicidio colposo dopo la tragedia avvenuta il 4 aprile del 2022, quando aveva fatto nascere in casa un neonato poi morto dopo due giorni di ricovero in ospedale: durante il travaglio, avvenuto all'interno di un appartamento di Concorezzo (Monza e Brianza), il piccolo era rimasto strozzato dal cordone ombelicale. 

Il giudice Carlo Ottone De Marchi del Tribunale di Monza ha quindi disposto per l'imputata la sospensione per 5 anni dalla professione e il pagamento del risarcimento dei danni ai genitori del piccolo e alla loro primogenita, con una provvisionale immediatamente esecutiva di circa 280mila euro.

Secondo la Procura di Monza, che aveva chiesto la condanna a 2 anni di reclusione, l'ostetrica si sarebbe resa infatti colpevole di una lunga serie di negligenze, a partire dal fatto di non essersi fatta affiancare da una seconda ostetrica, come previsto dalle linee guida della normativa regionale in tema di parto domiciliare, e di non avere avvertito il più vicino ospedale che era in corso la nascita di un bambino.

Insieme a lei e alla coppia ci sarebbe infatti stata soltanto una "doula", figura assistenziale non medica e non sanitaria che si occupa del supporto alla donna dalla gravidanza fino al primo anno di vita del bambino, e nessun'altra figura professionale, che l'ostetrica avrebbe ritenuto in fondo "superflua e non necessaria". La professionista, inoltre, per il giudice avrebbe trattato l'emergenza "in maniera inadeguata", senza allertare tempestivamente i soccorsi e prolungando così la sofferenza del bimbo poi deceduto per ipossia. 

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