Ormai nel processo ad Alessia Pifferi, accusata di aver lasciato morire di stenti la figlia Diana di appena 18 mesi, è un tutti contro tutti. Dopo che il pubblico ministero, Francesco De Tommasi, ha deciso di indagare le due psicologhe del carcere che avevano seguito l'imputato per favoreggiamento e falso ideologico e perfino l'avvocata della difesa, Alessia Pontenani, per il solo falso ideologico, si sono scatenati sempre più conflitti dentro e fuori le aule di tribunale.
Il primo scontro, ovviamente, vede il sostituto procuratore titolare dei due fascicoli (quello per l'omicidio della bimba e quello per i sospetti sulla strategia difensiva) contro la legale di Pifferi. I due non si sono ancora incontrati in aula da quando Pontenani ha scoperto (dai giornali) di essere indagata. Eppure l'avvocata ha già promesso battaglia: "Questo è un tentativo mal fatto di eliminare il ruolo dell’avvocato". E poi ancora: "Ma io non ho intenzione di tirarmi indietro".
Subito è intervenuto l'Ordine degli avvocati in difesa della sua iscritta, che in un comunicato ha scritto: "È difficile, mettendosi nei panni della collega, non avere la sensazione di un implicito invito a fare un passo indietro. E non vogliamo consentire che una situazione del genere passi inosservata". E poi conclude: "Non possiamo non stigmatizzare queste modalità di azione del pubblico ministero". E così, com'era naturale che succedesse, il secondo scontro diventa non più soltanto fra un magistrato e un'avvocata, ma fra l'avvocatura e la magistratura.
Il terzo scontro è forse quello già grave, perché spacca al suo interno una delle due parte: la magistratura. Rosaria Stagnaro, magistrato coassegnatario del fascicolo, decide di rimettere l'incarico al procuratore Marcello Viola, perché sarebbe in disaccordo con le scelte prese dal suo collega. È uno squarcio all'interno della procura, che mette fortemente in discussione la necessità di indagare l'avvocata Pontenani. Almeno di indagarla in questa fase del processo principale, ovvero quello per la morte della bambina.
È una scelta quella di Stagnaro che, di fatto, sembra dare ragione all'Ordine degli avvocati quando si chiede "Non si comprende l'urgenza di compiere atti di indagine, posto che i documenti ricercati sono custoditi in un istituto penitenziario e, dunque, ben difficilmente oggetto di dispersione". E soprattutto: "Non si comprende la ragione del mancato rispetto delle scansioni fisiologiche del processo, che dovrebbero senni prevedere una richiesta di trasmissione atti fatta dal P.M. a conclusione del processo stesso".
Da quel momento la guerra dentro è fuori il palazzo di giustizia di Milano diventa insanabile. La Camera penale di Milano decide di indire uno sciopero per il prossimo 4 marzo contro la Procura. La presidente Valentina Alberta in un'intervista a Fanpage.it dice "la nostra è una protesta a quello che riteniamo essere stato un attacco al processo". E poi chiede al procuratore Viola, per ora totalmente silente sul caso, di intervenire in prima persona e togliere De Tommasi dal processo ad Alessia Pifferi.
Poi, come se non bastasse, interviene l'Associazione nazione dei magistrati, che rappresenta il 96 per cento dei togati italiani. E non lo fa per difendere i suoi iscritti, che – come abbiamo visto – anche al loro interno appaiono spaccati. Al contrario rincara la dose e ricorda ai colleghi milanesi che è "necessario garantire il sereno svolgimento del processo", ma soprattutto che "la parità delle parti nel processo sono principi cui tutti gli operatori del diritto hanno il dovere di conformare la propria attività".
E poi l'Anm introduce un tema che, in tutto questo, ci si è dimenticati: "Accertare la verità è infatti l'obiettivo di ogni indagine e di ogni processo. Ciò non può che avvenire, tuttavia, in un ambiente privo di condizionamenti, che consenta lo svolgimento disteso e pacifico del processo, senza che nessuno vi interferisca, proprio a garanzia dell'equilibrio delle decisioni e della piena esplicazione del diritto di difesa".
Ed è proprio questo il punto: fra tutti questi scontri, in punta di diritto, a botte di comunicati, dichiarazioni, scioperi e dimissioni, la ricerca delle verità sulla morte di Diana Pifferi sembra essere passata in secondo piano. Le valutazioni sull'opportunità che il pubblico ministero che rappresenta l'accusa in un processo indaghi l'avvocato che difesa nello stesso dibattimento e tutte le varie conseguenze di quest'indagine hanno fatto passare in secondo piano una bambina di 18 mesi morta di stenti.