‘Ndrangheta, colpo alla famiglia Barbaro: 13 arresti. Le minacce con la pistola: “Ti ammazzo come cani”
Il cognome è uno di quelli che contano nello scacchiere della criminalità organizzata. La leggenda fa risalire il cognome Barbaro al 26 gennaio del 1873 quando Francesco Barbaro nasce a Platì, sulle pendici dell’Aspromonte. Una storia di ‘ndrangheta che porta in Piemonte, in Australia e ovviamente in Lombardia. E qui in Lombardia i Barbaro non hanno rivali: dediti al narcotraffico, agli appalti nel settore dell’edilizia, all’usura, nel corso degli anni i nomi dei discendenti di quel Francesco compaiono nelle più importanti inchieste di ‘ndrangheta. Domenico Papalia (oggi all’ergastolo), Rocco Papalia (scarcerato un anno fa e ora in una casa lavoro a Vasto) e Antonio Papalia (all’ergastolo a Padova) sono i padrini che insieme alle altre famiglie satellite dei Barbaro (Sergi-Agresta-Marando-Musitano-Molluso-Zappia) danno vita l’impero criminale lombardo.
Gli arrestati sono tutti originari di Platì
Antonio Barbaro, 52enne titolare di un negozio di frutta a Gaggiano (Milano) e suo figlio Rocco, 29 anni, arrestati oggi assieme ad altre 11 persone, sono a capo del gruppo che tiene le fila a Casorate Primo e che, secondo le indagini del pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia Gianluca Prisco, con le rispettive mogli si occupavano di trafficare ingenti quantitativi di di cocaina e marijuana tra Lombardia, Piemonte e Liguria. Gli arresti di questa mattina del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Pavia con la collaborazione del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata di Roma e con il supporto da reparti della Lombardia, Piemonte e Calabria hanno interessato 13 persone tutte originarie di Platì e insediatesi a cavallo delle province di Pavia, Milano e Monza Brianza nonché nel Torinese.
Le accuse vanno dall’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti alla detenzione e porto di armi da sparo fino a episodi di estorsione perpetrati in Lombardia con l’aggravante del metodo mafioso. Le indagini, che sono partite nel 2019, hanno registrato ripetute estorsioni nei confronti di soggetti che ritardavano a pagare la droga, ricorrendo spesso all’intimidazione, “sovente manifestata con la prospettazione nei confronti delle loro vittime di gravi conseguenze ove non avessero saldato i propri debiti nei tempi richiesti dai sodali”. La cocaina e la marijuana servivano per lo spaccio diretto e per rifornire anche le altre famiglie criminali.
L’organizzazione, come la storia della ‘ndrangheta ci insegna, vede coinvolti tutti i membri della famiglia: mentre i mariti si dedicavano al narcotraffico e alle minacce le mogli si dedicavano al prelievo della droga, al suo confezionamento e al conteggio degli incassi. I soldi illeciti venivano poi ripuliti società di servizi ed imprese edili, costituite ad hoc, ma di fatto inattive, tramite l’emissione di fatture false. Inevitabile anche il coinvolgimento di un professionista che aggiustava i bilanci e le dichiarazioni dei redditi per ungere il meccanismo.
Le minacce a un debitore con la pistola sul tavolo
I metodi, anche nell’elegante Lombardia, sono sempre gli stessi. Rocco Barbaro raccontava alla moglie (era il 12 dicembre 2019) come aveva affrontato un debitore che gli doveva 20mila euro per una partita di marijuana dopo "aver poggiato la pistola sul tavolo" dicendogli: "Vedi non voglio arrivare a questo…ma tu mi stai portando a queste conseguenze… tu non devi rompere le scatole… vedi che ti ammazzo, come i cani ti ammazzo". Rocco Barbaro racconta: "Me ne sono andato… sua moglie accucciata sul divano… lui tremava con le lacrime agli occhi…".
Gli arrestati avevano a disposizione anche kalashnikov
La giudice per le indagini preliminari Raffaella Mascarino sul figlio di Antonio, Rocco Barbaro scrive che, nonostante la sua "formale incensuratezza", "la pericolosità dell’indagato è emersa chiaramente nell’analisi della presente indagine" come "costante coadiutore del padre Antonio nella gestione del narcotraffico e nelle attività criminali ad esso strumentali (armi ed estorsioni)". A proposito di armi si legge nell’ordinanza che "per supportare le proprie capacità operative, per perpetrare le estorsioni ed il traffico di droga o anche per fronteggiare qualsiasi tipo di minaccia proveniente dall’esterno del sodalizio, aveva la disponibilità di armi automatiche, come i noti mitragliatori kalashnikov, riforniti da altra cellula calabrese collegata". È la solita ‘ndrangheta nella solita Lombardia. Solo che rispetto a qualche anno fa sembra non interessare quasi a nessuno.