Muore incinta di 7 mesi per una patologia non riconosciuta: tre medici a processo
Tre medici della clinica Mangiagalli di Milano sono a processo perché accusati di omicidio colposo in concorso. Sono stati indagati per il caso di una donna incinta di trentatré settimane che è morta a gennaio 2020 per una "dissezione aortica". Nessun professionista degli ospedali in cui è stata visitata si sarebbe infatti accorto di quanto stava accadendo e di quanto era grave la patologia. Il 5 luglio potrebbe già esserci la sentenza.
L'episodio risale alla notte del 4 gennaio. La vittima era una 47enne che era rimasta incinta con procreazione assistita. Non aveva mai avuto alcun problema durante i primi mesi di gravidanza né era cardiopatica. Quella notte si è sentita male ed è stata portata alla clinica Macedonio Melloni poi alla clinica De Marchi e infine alla clinica Mangiagalli. Qui il medico internista, dopo averla visitata, ha diagnosticato un quadro di "scompenso cardiaco, con insufficienza valvolare aortica, di nuova insorgenza".
La donna è stata quindi ricoverata nel reparto di Cardiologia. È stata visitata tre volte da tre medici e sottoposta a un elettrocardiogramma. Le sue condizioni sarebbero peggiorate di ora in ora e, secondo l'accusa, i medici avrebbero avuto un atteggiamento "attendista". Da qui, come riportato dal quotidiano Il Giorno, il motivo del rinvio a giudizio. La mattina del 5 gennaio la donna ha avuto un malore nel bagno. Una volta trovata, è stata subito portata in sala operatoria dove è stato praticato un cesareo d'urgenza che ha salvato la piccola. La donna è invece morta di lì a poco.
Come riportato nelle carte dell'inchiesta "di fronte a uno scompenso cardiaco con disfunzioni valvolari non presenti in precedenza, i medici hanno omesso di eseguire un ecocardiogramma più approfondito o un ecocardiogramma trans toracico e transesofageo, o una tac toracica e addominale, accertamenti che avrebbero potuto condurre alla diagnosi e avviare un trattamento terapeutico adeguato quale, nel caso di specie, l'intervento chirurgico e il taglio cesareo". La procura e la parte civile, infatti, sostengono che un intervento chirurgico o un taglio cesareo avrebbero evitato il decesso con una probabilità del 70 per cento.