Muore a 39 anni per un intervento estetico, condannato il chirurgo: “Ha sbagliato le manovre di rianimazione”
Lo scorso aprile il chirurgo estetico Maurizio Cananzi è stato condannato a 1 anno e 4 mesi, con pena sospesa, per omicidio colposo. Come si può leggere nelle motivazioni depositate dal giudice Carlo Ottone De Marchi del Tribunale di Monza, il medico è stato ritenuto responsabile in primo grado per la morte di Maria Teresa Avallone, la 39enne che il 5 marzo del 2019 si era rivolta a lui per un intervento e che era andata in arresto cardiaco dopo l'anestesia. Cannanzi, infatti, non avrebbe affrontato in modo adeguato l'emergenza cardiaca, mettendo in atto un comportamento che "si è notevolmente discostato dalle linee guida di riferimento previste nei protocolli di rianimazione". Il chirurgo, assistito dall'avvocato Augusto Colucci, ha già presentato ricorso in Appello e l'inizio della discussione è previsto per dicembre.
La rara "reazione avversa" all'anestesia e il massaggio cardiaco
Avallone aveva 39 anni. Originaria di Salerno, viveva in Brianza e lavorava al Cup dell'ospedale San Raffaele di Milano. Il 5 marzo 2019 si era rivolta al chirurgo Cananzi, nel suo ambulatorio di Seregno, per un intervento di rialzo dei glutei con inserimento di fili sottocutanei. Al momento della somministrazione dell'anestesia, però, Avallone accusò un grave malore per una rara reazione a un dosaggio regolare di anestetico.
Andò in arresto cardiaco per mezz'ora e venne trasportata in condizioni disperate all'ospedale San Gerardo con l'ambulanza chiamata da Cananzi. Tre giorni dopo, i medici dovettero dichiarare il decesso della 39enne.
Le motivazioni della condanna in primo grado
Finito a processo per omicidio colposo, Cananzi è stato condannato lo scorso aprile a 1 anno e 4 mesi, con pena sospesa. Il Tribunale di Monza, infatti, ha criticato il comportamento del chirurgo nella gestione dell'emergenza. Il medico era solo al momento dell'intervento e, secondo il giudice De Marchi, "non ha praticato un massaggio cardiaco adeguato", non avrebbe proceduto con "l’ossigenazione della paziente" e avrebbe effettuato "compressioni poco efficaci e in una posizione non corretta".
Cananzi, inoltre, non aveva usato il defibillatore e, poiché appunto era solo in ambulatorio in quel momento, aveva dovuto interrompere il "messaggio cardiaco per richiedere l'intervento dell'ambulanza". Il Tribunale ha, quindi, riscontrato negligenza e imperizia nel comportamento del chirurgo, il quale "si è notevolmente discostato dalle linee guida di riferimento previste nei protocolli di rianimazione".